L’Italia è chiamata domani al confronto più atteso, la chiave di volta di un Mondiale fin qui
largamente positivo. Il ko con la Lituania ha mostrato le lacune difensive degli americani. Già 25
anni fa quarti di finale con gli Stati Uniti. Servono coraggio e nessun timore reverenziale
ECCO GLI USA, SFIDA DA BRIVIDI
Risultato storico o minimo sindacale? La qualificazione per i quarti di finale della World Cup di una
squadra che quattro anni fa aveva terminato al nono posto il Mondiale, due anni fa aveva chiuso al
quinto posto i Giochi Olimpici di Tokyo e lo scorso anno aveva sfiorato le semifinali e un più che
probabile podio cedendo alla Francia vicecampione olimpica solo dopo un supplementare (da
allora 14 vittorie in 16 partite), è un’impresa oppure un risultato scontato? Si sta discutendo molto
in questi giorni sui social, dove c’è anche chi dice che, a livello tecnico, questo mondiale è
piuttosto scarso.
Come tutti, leggendo i sorteggi, scrivemmo a suo tempo che i quarti di finale era un obiettivo più
che credibile vedendo le avversarie. Poi c’è la prova del campo, e allora dobbiamo renderci conto
che di scontato non c’è proprio nulla nel basket di oggi, che la pallacanestro mondiale si è evoluta
enormemente, che fare confronti con il passato è per lo meno fuorviante, che serve semmai solo
per le statistiche.
Prendiamo proprio l’Italia: quattro anni fa aveva dato quaranta punti ad Angola e Filippine e
battuto Portorico solo dopo un supplementare, ma il divario con i caraibici era aumentato a 7
lunghezze nel preolimpico di Belgrado dove aveva superato la Dominicana di venti punti.
Confrontiamo quei risultati con quelli di questi giorni: da +41 a +14 con l’Angola, da +46 a +7 con le
Filippine, da +20 a -5 con la Dominicana: il gap quindi si è sensibilmente ridotto. Minor valore degli
azzurri, nonostante il brillante rendimento recente, o progressiva crescita delle avversarie?
Ogni torneo e ogni partita fanno storia a sé, ma sicuramente questo Mondiale ha dimostrato che,
asiatiche a parte ad eccezione del Giappone che si è giovato del pubblico amico, il livello – in
particolare delle squadre africane con la splendida favola del Sud Sudan – si è alzato e di
parecchio. Prova ne sia che fuori dalle prime otto sono rimaste nazionali di alto e robusto
lignaggio: Spagna, Francia, Australia, Brasile e Grecia.
Basterebbe questo per capire che entrare nei quarti di finale non era affatto semplice e che il
risultato raggiunto finora dall’Italia è più che apprezzabile. Il motivo è semplice: quattro anni fa
non c’era un Clarkson, due anni fa non c’era un Towns e lo stesso Portorico non aveva ancora
maturato quei giovanottoni da 2.10 e passa che stavolta l’Italia ha avuto il merito di annullare
sterilizzandone il contributo.
Quindi basta con polemiche fuori luogo: non dimentichiamo che passi falsi e per alcune letali ne
hanno fatti altre squadre (la Spagna con la Lettonia, la Francia con la stessa Lettonia, il Canada con
il Brasile, la Grecia con Montenegro, per non parlare del crack argentino al di fuori della World
Cup) e godiamoci il bel viaggio degli azzurri, ricordando che, comunque vada a finire con gli Stati
Uniti, il loro mondiale si concluderà solo domenica prossima.
Ripartiamo proprio dagli Usa che schierano, ovviamente, 12 dei 55 giocatori Nba che partecipano
o hanno partecipato a questa World Cup contribuendo ad alzarne il livello. Poche le squadre che
ne sono prive. Se è vero, come sostengono i più, che la Nba è il faro che illumina l’intero basket
mondiale, questa inedita ricchezza di talenti non può che avere arricchito il contenuto tecnico
della Coppa.
Ma limitiamoci agli Usa e pensiamo piuttosto alla sfida che ci attende domani e che ci manca da 25
anni. Nel 2006, a Saitama, gli Usa con LeBron James, Paul, Wade, Bosh, Howard, Anthony, ci
batterono nella prima fase per 94-85, sconfitta più che onorevole visti i nomi, ma – come già ad
Atene due anni prima – non andarono oltre il bronzo, sconfitti in semifinale dalla Grecia (poi ko con
la Spagna). L’Italia cadde agli ottavi di finale contro la Lituania (68-71) buttando alle stelle il pallone
del vantaggio, forse decisivo, prima dell’ultimo canestro lituano: chiudemmo al nono posto.
Qualcosa di simile avvenne a Lille nell’Eurobasket 2015 nei quarti di finale sempre contro la
Lituania con l’Italia “più forte di sempre”, quella dei tre azzurri Nba.
Venticinque anni fa, invece, uscimmo ai quarti di finale proprio contro gli Usa: 77-80, ma finale
polemico, con l’Italia dietro di un punto, 77-78, e la scelta di tirare da tre invece di andare in
penetrazione e cercare canestro o fallo a pochi secondi dal termine. Rimbalzo americano con fallo
evidente non fischiato, contropiede di Michael Hawkins, all’epoca guardia dell’Olympiacos, e
vittoria degli Stati Uniti, quell’anno non trascendentali: per il lockout, Tomjanovich aveva raccolto
un po’ di americani in giro per l’Europa, tra cui i “nostri” Edwards, Gerard King e Miller. Oliver e
Wood sarebbero arrivati in Italia subito dopo, Langdon qualche anno più tardi.
Questo per la storia, che proveremo a riscrivere domani. Impresa obiettivamente più che difficile
per il valore individuale degli americani che però, dopo una prima fase travolgente, sono stati
messi in difficoltà dal Montenegro ed hanno poi perso con la Lituania. Insomma, non sono
imbattibili, hanno lasciato a casa le superstelle che si scomodano solo per l’Olimpiade, ma restano
squadra di tutto rispetto. Con i suoi punti deboli.
I 110 punti subìti dalla Lituania parlano con evidenza di una difesa per lo meno non troppo attenta
nonostante la presenza di Jaren Jackson jr, miglior difensore della Nba, qui finora uscito sempre
per cinque falli. La punta di diamante è Anthony Edwards, guardia di Minnesota, indicato all’inizio
come probabile Mvp del mondiale, ma la pericolosità offensiva è diffusa con Banchero terzo
miglior marcatore con 10 punti per gara. Kerr sembra preferire un quintetto più basso e più
veloce: le torri Portis e Kessler non hanno giocato molto finora, preferendo il maggiore dinamismo
di Jackson e Banchero. Ingram, Bridges e Brunson completano normalmente il quintetto di
partenza.
Che fare? Provare a non subìre fisicità e accelerazioni, gestire l’attacco cercando di non perdere
palloni (ne catturano 10 a partita e ne perdono assai pochi), difendere con attenzione, sperare di
ritrovare la lucidità nel tiro da tre mostrata contro la Serbia, limitare l’inferiorità in centimetri
tagliando fuori dai rimbalzi i lunghi avversari, confidare che il clima da Nba stimoli Fontecchio che
domani si troverà di fronte Walker Kessler, suo compagno di squadra negli Utah Jazz.
Tutto questo è molto facile da dire, assai meno da fare. Pozzecco e il suo staff avranno preparato
molto bene il match, poi saranno i giocatori in campo a comprendere che, se vorranno dare
davvero un’impronta storica al loro Mondiale e al loro viaggio in azzurro, questa è l’occasione
giusta. Senza dimenticare che, vincendo, si giocheranno poi il podio e la possibilità della
qualificazione diretta ai Giochi di Parigi (ma solo arrivando in finale), perdendo dovranno ricaricare
in fretta le pile perché saranno attesi dalle ultime due partite con il quinto posto in palio, obiettivo
per nulla trascurabile.
Melli e Tonut, Datome e Ricci, Pajola e Spissu hanno dato fin qui un contributo notevole
ritagliandosi ognuno un pezzo di gloria personale. Polonara deve togliersi di dosso le scorie di un
mondiale fin qui non sufficiente: c’è bisogno dei suoi centimetri e del suo tiro. Severini ha
dimostrato di essere affidabile quando c’è necessità di dare respiro ai compagni di reparto,
Procida e Spagnolo potrebbero essere chiamati a dimostrare di valere la chiamata di quella Nba
che per il momento è nel cassetto ma alla quale entrambi intendono rispondere. Dunque, grande
cuore una volta di più e, soprattutto, nessuna paura: noi non abbiamo nulla da perdere, loro non
sono più così sicuri.
In foto Portis e Banchero(FIBA)
Mario Arceri