FOTO: Mediolanum Forum (Ciamillo-Castoria)
di Filippo Luini
Il Paese diviso in fasce associate ad un colore. Dal verde, passando per il giallo e l’arancione, fino ad arrivare al rosso. Il nuovo DPCM ha assegnato a ciascuna Regione un livello di criticità della situazione causato dal diffondersi del virus Covid-19. Lo sport si ferma, se non laddove si rientri nel professionismo e nell’ambito dei campionati ritenuti di interesse nazionale. Nel basket – in particolare – spazio solamente a Serie A, A2 e B per il maschile, Serie A1 e A2 per il femminile.
Ma proseguire in queste condizioni ha senso? Siamo alla costante ricerca di una normalità, anche quando – palesemente – non si può. È umano, serve ad uscire da questi difficili schemi imposti per contrastare l’emergenza, però bisogna fare importanti riflessioni, perché lo sport resta pur sempre un business. È più conveniente proseguire o mettere un punto alla stagione? Nel breve periodo, sicuramente, quest’annata sportiva sarà estremamente difficile, ma guardando al futuro è inevitabile pensare che, se ci si ferma anche nel momento in cui con adeguati protocolli e regole si può giocare, la pallacanestro ha fallito.
È stato appurato che, a livello regionale, il rischio è troppo alto: non si possono effettuare costanti tamponi, ciascun giocatore vive una vita parallela fuori dal campo che lo lega a lavoro, studi e dunque ad una miriade di contatti diretti. Nel professionismo e nei campionati cosiddetti di interesse nazionale la questione cambia: i giocatori sono controllati, la maggior parte del tempo gli atleti lo passano in palestra o a casa. Palazzetti deserti o quasi, sponsor costretti a rinunciare e un mondo sempre più in crisi rischiano però di trasformare questa stagione in una stoccata beffarda per i Club già in difficoltà.
Fermarsi o non fermarsi, questo è il dilemma… Non mancano i pro e, ovviamente, non mancano i contro: proseguire per lo spettacolo, per l’immagine del prodotto basket e per dimostrare che l’organizzazione ha garantito sicurezza anche nel momento più difficile della seconda crisi sanitaria nazionale dovuta al Covid, almeno fin quando sostenibile. I contro sono legati agli introiti e alla sostenibilità della stagione che, a detta di molti, rischia di costringere a chiudere i battenti diverse società. Luca Baraldi, AD della Virtus, spinge per una sospensione del campionato e una ripresa nel 2021, un po’ come fatto da alcuni Comitati Regionali per i propri campionati. Ettore Messina ha scritto una lettera indirizzata ai principali organizzatori delle competizioni europee per Club, chiedendo lo stop a seguito delle difficili situazioni di alcuni Stati e del sempre più cospicuo numero di partite da recuperare.
Un’odissea che porta sempre più malcontenti e sfiducia all’interno di un ambiente a cui serve assolutamente un rilancio. Poi gli episodi, l’ultimo accaduto domenica tra Cremona e Pesaro: alla Vitifrigo Arena, in terra marchigiana, la Vanoli si presenta con una defezione dovuta al Covid. A fine partita coach Galbiati parla di giocatori con sintomi, si creano alcune ore di caos e poi arriva la nota del Club, in tarda serata, che specifica come un tesserato avesse accusato debolezza e brividi all’intervallo, non rientrando più in campo ed isolandosi dal resto del gruppo.
I rischi non mancano, la situazione è delicata e la paura dell’innesco di nuovi focolai è legittima. Vedremo come si evolverà la curva del contagio, quali soluzioni adotterà il Governo Conte, ma bisogna stare allerta: la chiusura è possibile, forse imminente. L’importante sarà sfruttare a pieno lo stop per pensare, progettare e finalmente innovare un mondo troppo statico e indietro rispetto a quello che la cultura sportiva ci sta abituando.
Inspiegabile, agli occhi di chi scrive ora, come non si sia pensato ad una seconda ondata in arrivo. Come si sia tornati ad un’illusoria normalità in così poco tempo, consci – dando uno sguardo alla storia delle pandemie – che una seconda ondata di contagi ben più forte della prima sarebbe arrivata.