FOTO: Luis Scola (Ciamillo-Castoria)

Il nostro Marco Arcari ha realizzato un’interessante presentazione di Luis Scola che, a 40 anni, riesce ancora ad essere dominante in Serie A. Un pezzo che ci introduce al giornale in edicola, su Basket Magazine 66, infatti, è Filippo Luini a tracciare il profilo personale di Scola, scoprendo cosa lo ha portato in Italia e quali sono i suoi obiettivi per il futuro. 

Luis Scola, l’eternità de “El General”

di Marco Arcari

1° luglio 2020. La Pallacanestro Varese comunica di aver raggiunto l’accordo annuale, con opzione per la stagione successiva, con Luis Scola. Una notizia che rianima improvvisamente il mondo biancorosso, facendo riaffiorare, nella mente dei tifosi, i ricordi dei grandi campioni del passato. Da Bob Morse a Charlie Yelverton, passando per Manuel Raga e, nel passato più recente, Arijan Komazec, “El General” s’inserisce a pieno titolo nella lista dei fenomeni stranieri che hanno indossato i colori di una delle società più iconiche nella storia della pallacanestro italiana. Certo, sono cambiati proprietari, presidenti e abbinamenti-sponsorizzazioni, ma il fascino della Pallacanestro Varese rimarrà intatto per l’eternità.

La decisione del quarantenne argentino è tanto semplice, quanto chiara. Rimanere vicino a Milano per curare i propri interessi e agevolare la famiglia e, al contempo, scegliere l’Openjobmetis per potersi gestire al meglio in vista di Tokyo 2021. Perché la pandemia da COVID-19, oltre a tutto il resto, ha anche causato il rinvio di un anno dei Giochi della XXXII Olimpiade: inizio così riprogrammato per il 23 luglio 2021 e termine previsto per l’8 agosto successivo. Argentina già certa di un seggio tra le 12 Nazioni partecipanti al torneo maschile, grazie al 2° posto conquistato nel Mondiale cinese del 2019. Una rassegna iridata in cui Scola aveva letteralmente trascinato i compagni a una finale impronosticabile. 18 punti, 8 rimbalzi di media, 28+13 nella semifinale con la Francia, 20+5 rifilato alla Serbia nel turno precedente. Al termine della competizione, il lungo è diventato il 2° miglior marcatore nella storia dei Mondiali, con 716 punti complessivi, dietro solamente a “Mao Santa”, Oscar Schmidt (906). Quello del Mondiale 2019 è stato però solo l’ultimo grande exploit di Scola in ordine cronologico.

Impossibile dimenticare infatti i risultati ottenuti con l’Albiceleste in occasione delle rassegne a 5 cerchi. L’oro ad Atene 2004, proprio contro l’Italia, il bronzo di 4 anni più tardi, l’onore di essere portabandiera nella cerimonia d’apertura di Rio de Janeiro 2016. Quella di Tokyo sarebbe così la 5ª partecipazione, peraltro consecutiva, del “General” ai Giochi, e gli potrebbe permettere di scalare ulteriori posizioni nella lista dei migliori marcatori di sempre. Attualmente Scola è al 5° posto di tale graduatoria, con 525 punti dilazionati in 4 edizioni diverse, ma a soli 12 lunghezze da Vlamir Marques (4°) e a 98 dal gradino più basso del podio, occupato per ora da Pau Gasol. Senza dimenticare poi che nessun cestista argentino ha mai giocato più di 4 Olimpiadi e che Scola è l’ultimo reduce della favolosa e celeberrima “Generacion Dorada”. Un gruppo ineguagliabile, che pose le sue basi ai Mondiali di Indianapolis 2002, e che rappresentò la prima Nazionale in grado di sconfiggere un Team USA composto interamente di giocatori NBA (87-80 nell’ultimo match del Gruppo F, utile per decretare gli accoppiamenti dei quarti di finale).

La scelta di trasferirsi a Varese è allora fin troppo chiara, specie alla luce di tutto ciò. Scola aveva già scelto l’Olimpia Milano per lo stesso motivo: restare ad alti livelli e gestire il proprio fisico al meglio, in vista della 5ª Olimpiade della sua sfavillante carriera. All’A|X Armani Exchange il doppio impegno, LBA ed EuroLega, è sembrato però troppo provante fin dopo pochi mesi. Ciò forse anche a causa di lacune strutturali nel roster di Milano, che obbligavano coach Ettore Messina alla sovrautilizzazione dello stesso Scola. I ritmi serrati, imposti dal calendario ECA e caratterizzati potenzialmente anche da 4 match in 8 giorni, non si conciliavano più con le possibilità, fisiche e mentali, di un atleta che rappresenta comunque un unicum nella storia della pallacanestro europea, per lo meno contemporanea. A 40 anni Scola è ancora in ottime condizioni fisiche, pur con limitazioni. Per fare un paragone automobilistico, l’argentino è come una Ferrari F-40 del 1988: bellissima, impareggiabile quanto a linee e meccanica, ma ormai da dosare con oculatezza e parsimonia. A testimoniarne l’integrità, come se poi ve ne fosse davvero bisogno, ci sono sicuramente le prime 3 giornate della Serie A 2020-21. Scola è infatti attualmente il miglior marcatore della LBA (21.7 di media), il 2° per valutazione (23) e il 10° rimbalzista (7.3). Il tutto, giocando di media poco più di 28’ a gara.

La copertina di Basket Magazine 66 dedicata a Luis Scola

Gli esordi stagionali sono stati caratterizzati dalla ridda di voci che avrebbe visto nella gestione di Luis Scola il principale motivo per cui coach Attilio Caja è stato esonerato. Nella pallacanestro, si sa, tutto è possibile, ma ci riesce davvero difficile immaginare che due uomini di tale esperienza possano essersi scontrati, peraltro dopo oltre 2 mesi di “convivenza”, su un punto chiaro fin dall’arrivo dell’argentino a Varese. Di certo vi è però solo l’avvicendamento in panchina tra lo stesso Caja e Massimo Bulleri, quest’ultimo alla prima esperienza da head coach. Guai però a farne un paragone con l’Andrea Pirlo scelto dalla Juventus. Il “Bullo” di esperienza ne ha infatti tanta: prima assistente dello stesso Caja a Varese, poi di Massimo Cancellieri a Ravenna (in Serie A-2). L’esordio da capo allenatore proprio su una panchina così prestigiosa, potrebbe tuttavia rappresentare un fardello pesante per le spalle di un tecnico che ha comunque tutte le carte in regola per sedervisi. A sostenerlo potrebbe allora pensarci lo stesso Scola. Leadership innata, carisma ineguagliabile, esperienza da vendere, comprensione della pallacanestro in tutte le sue sfumature. Sono queste le caratteristiche di un giocatore che Varese ha firmato anche, e soprattutto, per la sua «presenza fuori dal campo», come dichiarato dal general manager, Andrea Conti, in occasione dell’ufficialità della firma. È innegabile allora che dalla connection Scola-Bulleri passerà buona parte della stagione varesina, COVID-19 permettendo. Ed è altrettanto certo che questa nuova esperienza potrebbe formare ulteriormente Scola, ampliandone non poco le visioni, specie nell’ottica di un futuro assestamento in panchina. Senza dimenticare che se esiste uno sport in cui la testa conta quasi sempre più del talento, quello è proprio il basket.

Per ora, l’iconico numero 4 prosegue però nel calcare i parquet italiani. Ritornato sulla schiena di Scola dopo una o, meglio, mezza, stagione d’assenza. Il perché è presto spiegato. All’Olimpia Milano i numeri 4 e 44 sono tuttora “banditi”. Scelta di Adolfo Bogoncelli, storico patron delle Scarpette Rosse fino all’estate del 1980, il quale proibì tali numerazioni per tristi ricordi personali. Il 4 aprile del 1944 (04/04/44, per intenderci) a Bogoncelli fu infatti diagnostica la poliomielite. La malattia, e la conseguente fobia per il numero 4, non impedirono comunque al “Bogos” di diventare uno dei più grandi dirigenti nella storia della pallacanestro italiana, avanguardista e innovatore come pochi altri. Ci piace pensare che un atleta posato, moralmente integro e professionalmente impeccabile quale Scola, la maglia numero 4 manco l’abbia chiesta a priori, accogliendo di buon grado la regola non scritta che vige in casa Olimpia. E guai a parlargli di come s’immagina tra qualche anno, quando la carriera agonistica sarà termina. Per Scola queste sono distrazioni che tolgono energie importanti. Anche e soprattutto a 40 anni. Anche e soprattutto nel momento dell’esaurirsi della carriera.

Una carriera costellata di numeri impressionanti e di esperienze diverse, che trovano tutte però un filo conduttore nei fondamentali. Se Tim Duncan è “The Big Fundamental”, soprannome coniato da Shaquille O’Neal, Luis Scola deve essere, a pieno titolo, “Señor Fundamentales”. Ovviamente senza volergli togliere quel “Luifa”, affibbiatogli perché, pare, tifoso sfegatato di Luis Fabián Artime, attaccante del Ferro Carril Oeste tra 1985 e 1989. Il poetico utilizzo del piede perno, le innate capacità di lettura, con e senza palla, uniti all’abilità di modificare il proprio gioco per adattarlo al meglio alle esigenze del suo corpo, ma anche e soprattutto a quelle di una pallacanestro in costante evoluzione. Dagli esordi in patria, col Ferro Carril Oeste, fino all’arrivo in Europa, più precisamente in Spagna con il Gijón Baloncesto, i fondamentali erano già in bella mostra, uniti però a un’esplosività e a una capacità inattesa di correre il parquet, transizione primaria, secondaria o contropiede che scriver si voglia. Il più evidente era comunque l’utilizzo del piede perno. Luis Scola è stato, fin da ragazzo, un ballerino di tango prestato alla pallacanestro. Dotato di un’innata, e forse inspiegabile, capacità di tenere incollato al parquet un piede pur compiendo movimenti incredibili. Che sia destro o sinistro, poco importa. Anche a livello di mano, perché ogni svitamento è sempre stato accompagnato da una capacità di spezzare il polso che abbacina chi lo guarda. Più passa il tempo, più giocare vicino ai ferri e prendere botte diventa però logorante. Il basket contestualmente si è evoluto, migliorandosi le tecniche di preparazione e di sviluppo fisico, il ruolo di 4 e quello di 5, se non svaniti, sicuramente si sono attenuati nella concezione stessa di “ruolo” e, pian piano, due lunghi puri contemporaneamente sul parquet non ci sono potuti più stare. Ecco allora l’ennesima evoluzione. Laddove il perno e i movimenti spalle a canestro non bastavano più, Scola ha inserito il “pop” e lo “spot-up shooting”. Dal non mettere quasi mai piede fuori dall’arco dei 3 punti e limitarsi ai tiri dai 4-5 metri al massimo, l’argentino è diventato macchina da triple. Era il 2015. L’avventura NBA era quasi giunta al termine, dopo 5 annate a Houston, 1 a Phoenix e 2 a Indianapolis. Eppure, a 34-35 anni Scola si prendeva la briga, ma di certo anche il gusto, di sparare col 41% di media nella prima e unica stagione coi Toronto Raptors.

Proprio in maglia Raptors abbiamo potuto ammirare uno Scola 3.0, capace di prendersi 161 triple in 76 gare di Regular Season, 101 in più di quante ne aveva tentate in tutte e 8 le precedenti annate nella lega dei pro a stelle e strisce. La doppia dimensione così acquisita è una – certo non l’unica – chiave importante del rendimento di Scola ancora oggi, a distanza di ben 5 anni. Un rendimento che, nel nostro campionato, è ancora ad altissimo livello. E proprio in questa LBA 2020-21 “El Capitàn” può riproporre maggiormente, e con più continuità, la versione 1.0, quella del piede perno poetico e dei movimenti spalle a canestro capaci di far ammattire qualsiasi difensore. E a Varese deve esserci, necessariamente, la convinzione diffusa che Scola giochi ancora non per soldi, statistiche o trofei, bensì per divertirsi e far divertire. Forse questa è la caratteristica più “grande” di Scola: la capacità di comprendere il tempo, di farlo quasi proprio pur senza fermarlo, ma adattandovisi. Ed è questo forse il suo più grande segreto, per quanto l’argentino abbia sempre dichiarato di non averne, bastandogli infatti la sua professionalità, una sana dieta e del buon riposo.

La Serie A intera, invece, ha la possibilità di ammirare ancora un giocatore ineguagliabile, anche e soprattutto per il modo di interpretare una partita e ciò che ne consegue. Sono lontani i giorni del «terribile sprofondamento» patito dopo l’esordio in NBA (0 punti e 3 rimbalzi in 9’ a Los Angeles, contro i Lakers, il 30 ottobre 2007), quando nel viaggio verso Salt Lake City, Yao Ming gli fece comunque presente di aver conquistato almeno 3 rimbalzi, rispetto agli 0 dell’esordio di quello che allora era, a tutti gli effetti, l’uomo franchigia dei Rockets. Oggi è lo stesso Scola a vestire i panni di Yao per aiutare i più giovani, i meno esperti, peraltro non solo compagni di squadra. Emblematico ciò che ha raccontato Jordan Bayehe, ala-centro classe 1999 della Pallacanestro Cantù. Durante una sfida della Eurosport Supercoppa 2020 tra Cantù e Varese, Bayehe era infatti riuscito a difendere bene più volte su Scola, arrivando perfino a stopparlo in un’occasione. All’urlo di euforia del giocatore avversario, l’argentino ha risposto con un «good job», bel lavoro. Sono lontani i tempi del trash-talking, anche questo sintomo di adattamento continuo. Questi sono semmai i giorni dell’eternità di un proverbio popolare: gallina vecchia fa buon brodo. Dove per vecchia, nel caso di Scola, non s’intende certo l’età anagrafica o la condizione fisico-atletica, quanto semmai la saggezza. Considerato poi che si tratta di Varese, potremmo anche sostituire il termine “gallina” col più romantico “Rooster”, ma anche “brodo” con “gloria”. Perché mai come nel caso di Scola e di Varese, la gloria sportiva si fa amica il tempo, rendendolo così più incline a trascurarne l’effimerità.

Alla fine di ogni giornata sarà anche e pur sempre solo basketball, come egli ha dichiarato più volte. Eppure, quando si scrive di Luis Scola, si mette nero su bianco anche tanto, tantissimo altro.