di Filippo Luini
Il tema caldo nel mondo dello sport, soprattutto ad alto livello, è la possibilità di aprire al pubblico nei palazzetti. Controverso il dibattito. Complesse le decisioni da prendere. Ciò che, almeno in apparenza, sta mancando, è il buonsenso. Il Covid-19 ha messo il Paese in ginocchio socialmente ed economicamente, ora, però, dopo mesi di lockdown, l’Italia – seppur a fatica – sta provando a ripartire in tutti i suoi settori. Lo sport è sembrato un po’ messo da parte, facendolo ritornare all’ideologia del semplice svago e divertimento, un luogo comune che le società, gli atleti e tutti gli addetti ai lavori – noi compresi – non possiamo accettare.
In un’intervista rilasciata a Luca Muleo sul Corriere dello Sport – STADIO, Luca Baraldi, AD della Virtus Segafredo Bologna, ha lanciato una provocazione: “Lo sport è un settore fondamentale, mi sembra ci sia scarsa cognizione del nostro mondo”. Baraldi ha poi concluso dicendo: “Con i soldi delle tv non ci paghiamo nemmeno il costo del pullman. Con la Virtus abbiamo alle spalle una proprietà che ci consente di andare in campo comunque. Ma c’è chi invece potrebbe non farcela a pagare i contributi e i dipendenti. Se lo Stato ci impone di chiudere i palazzi, ci finanzi anche”. Parole forti, ma inevitabili, provenienti da una società che, a dirla tutta, ha goduto del vantaggio di giocare di fronte al 25% della massima capienza delle proprie strutture. Detto ciò, nessuno nel mondo del basket, e più in generale dello sport, sta sottovalutando il Covid, anzi. Tuttavia è il buonsenso a mancare, perché se i mezzi di trasporto sono affollati, se i bar sono aperti, così come i ristoranti, con norme che regolano il distanziamento sociale e l’igienizzazione delle strutture, così si può fare per i palazzetti. Serve tuttavia uniformità: i palazzetti hanno capienze diverse, ma in percentuale tutti possono garantire lo stesso tipo di sicurezza, aumentando l’entusiasmo di quello che rimane uno spettacolo e dando ricavi alle società, sempre più in ginocchio come testimoniano i protagonisti stessi, da Pesaro a Roma. Anche Gianni Petrucci, presidente FIP, è intervenuto sulla questione parlando ai microfoni de La Gazzetta dello Sport: “Non siamo informati su nulla, c’è confusione da parte di chi ci governa e scoramento da parte nostra. Non sappiamo a chi rivolgerci in questo momento drammatico, ci rispondono soltanto “no” senza spiegazioni. È in atto la monocultura sportiva. Conta solo il calcio”.
Troppi sono i paradossi: a Bologna il pubblico era ammesso per il 25% della capienza totale del palazzetto, a Roma e Pesaro si è giocato a porte chiuse fatta eccezione per alcuni addetti ai lavori. Perché? Come può definirsi corretto un trattamento di questo tipo nei confronti di società che, attraverso gli incassi dei biglietti venduti, fanno quadrare i conti. L’eguaglianza competitiva ed economica tra club viene meno. Il Covid è un problema serio, ancora. I contagi sono schizzati, in Italia, così come all’estero. È opportuno non farsi trascinare dal panico mediatico troppo spesso ascoltato alla TV in questi mesi, ma allo stesso tempo non bisogna sottovalutare il problema, una chiusura totale ora metterebbe KO lo sport e probabilmente l’intero Paese. Serve prudenza, ma soprattutto unione d’intenti; la grave mancanza è stata prevalentemente a livello comunicativo. Oggi, 8 ottobre, il presidente LNP Pietro Basciano, in una nota pubblica, ha dichiarato: “Ci sono disuguaglianze inaccettabili. Vogliamo chiarezza e spettatori al 25% di capienza, con 200 si chiude”. Il governo deve ascoltare Leghe e Federazioni, agire ascoltando l’opinione degli scienziati, ma decidere senza mettere una croce sullo sport a prescindere, perché così si perde lo spettacolo e muoiono le società, che già prima di questo cruccio non navigavano in acquee così limpide.
Sono tempi difficili, ma cum grano salis tutto è risolvibile, comunicando, aiutandosi e facendo valere la voce dello sport, che prima di essere un semplice passatempo, per molti, moltissimi, è un lavoro.