Tommaso Marino, classe ’86, nativo di Siena, nella sua carriera è passato dall’esordio in A1, sponda Mens Sana, con partecipazione alle Final Four di Eurolega, a Scafati in A2, dove gioca in questa stagione. In mezzo le fantastiche esperienze, di vita soprattutto, come ci racconta. A Treviglio e Ravenna, passando anche per il ritorno a Siena, in A2, qualche stagione fa, con la nuova società. Al contrario quello il periodo più buio della carriera. L’uomo è super disponibile, pacato, colto e attento ad analizzare ambiti non solo cestistici, come possono essere i social (che gli hanno causato un po’ di problemi negli ultimi tempi) o ancora l’esperienza che ha intrapreso quest’anno di pubblicare vlog su YouTube. E il futuro? Dove lo vedrà impegnato e in cosa? Ma per farlo partiamo dallo sfortunato presente, che vede Tommaso fermo ai box da qualche settimana.

Innanzi tutto come sta? Come procede il recupero dall’infortunio all’alluce sinistro?

“Sì, l’infortunio è stato all’alluce sinistro: sono saltati il sesamoide e il legamento di fianco nello specifico. Il recupero procede bene, questo mercoledì ho avuto le visite di controllo perché scade la quarta settimana ed era il tempo minimo per sistemare questo problema. Nei prossimi giorni capiremo come muoverci. Sin dall’inizio si sapeva: cinque, sei, anche sette settimane ci potrebbero volere per risistemare questo piccolo problema. Però mi fa meno male, cammino bene”.

Proviamo a conoscerla meglio, perché le piacciono così tanto i social?

“Mi piacciono così tanto perché mi danno la possibilità di raccontare delle storie. Le mie innanzitutto ovviamente, perché alla fine siamo tutti un po’ egocentrici, soprattutto noi giocatori. Mi viene data la possibilità di raccontare il bello che faccio, il brutto magari me lo tengo per me. Quindi mi piace e lo uso per raccontare me, le mie passioni, la mia Onlus, il mio brand, la mia vita, che penso sia comunque la vita di un privilegiato, di uno che fa dello sport il suo lavoro. Ed è per questo che mi piacciono. Ovviamente conosco anche i lati negativi però, nel complesso, mi piacciono per questo motivo qua. Li uso e li vorrei usare, in futuro, anche per raccontare storie non necessariamente mie”.

Marino

Da cosa nasce l’idea del Vlog? C’è un particolare, un aneddoto?

“L’idea del vlog nasce un paio di anni fa quando già pensavo di fare qualcosa del genere. In primis l’idea era quella, temendo un po’ il giudizio riguardo l’uscita di video durante la stagione, di riprendere e a fine stagione, poi, fare una sorta di vlog a puntate che avrebbe raccontato la stagione passata. Poi però mi sono detto “cosa te ne frega?” Sei uno che lavora, non mi sono mai tirato indietro, non ho mai condotto una vita estrema o fatto cose sbagliate, ecc. L’unica cosa che può succedere è che gioco bene o gioco male, ma questa è la vita e quindi mi sono detto “sti cazzi, lo faccio, è una cosa che voglio fare e lo faccio”. Nello stesso periodo, erano le settimane della bolla NBA, e il vlog di Matisse Thybulle dei Philadelphia 76ers mi aveva appassionato tantissimo perchè era bello e fatto bene, mi sono detto “ho trentacinque anni, non è che se non lo faccio adesso lo faccio tra cinque anni, se è una cosa che vuoi fare, Tommy, mi sono detto di farla e stop”. Alla fine l’ho fatta, il tutto è stato schiacciare play e postare il primo video, perchè online funziona così: il problema è schiacciare play la prima volta, dopodichè ti accorgi che alle persone piace, apprezzano vedere quello che succede all’interno. Per me, magari, sono tutte cose scontate ma mi sono accorto che per altri non lo è, per mia mamma non lo è, per mia sorella non lo è, per i miei amici che non giocano a basket non lo è, però gli piace vederlo. E allora tutti i messaggi che mi dicono “grande Tommy”, “che figata, rifallo” mi spingono moltissimo; se uno mi dice “sei un coglione” e duecento mi dicono “che figata” io lo faccio ancora. Il problema sai qual è? Che noi siamo un po’ fessi delle volte e valutiamo cento un commento negativo e uno un commento positivo e invece no, è sbagliato. Il tifoso medio, che sta in tribuna, certe cose non le sa e nel caso del mio vlog, i messaggi che più mi gasano sono quelli dei ragazzini di 16/17 anni che mi dicono “Tommy seguo Scafati da quando ho cinque/sei anni ma non pensavo che ci fosse questo” e quindi mi fa veramente moltissimo piacere ed è bella come cosa.

Che impatto ha avuto il vlog in squadra e nel coaching staff?

“Il mio allenatore (Alex Finelli, ndr) li guarda tutti e commenta anche su una cosa, piuttosto che un’altra; mi ha detto che anche suo figlio li guarda. Io ho un ottimo rapporto con Alex e lui sa benissimo che il valore di un giocatore va a prescindere di quello che tu fai fuori dal campo, a meno che tu non sia un tossico che la notte esce e fa le sei di mattina. In squadra è visto come una cosa simpatica, ogni tanto, il giorno che arrivo in spogliatoio per fare il vlog con il cellulare in mano è una gioia e ogni giocatore riesce ad avere la “sua parte” nel vlog. Ad esempio Gigi Sergio, che è un mio carissimo amico, ci mette qualche battuta, qualche cavolata; Bernardo Musso che li guarda da cinque dispositivi diversi in casa per darmi le visualizzazioni piuttosto che Benve (Lorenzo Benvenuti, ndr) che è venuto a casa mia a suonare la chitarra; o ancora Charles Thomas che mi ha concesso un’intervista. Quindi è visto benissimo, io sono molto delicato e so quando posso o meno, ma non per i compagni, ma per me stesso prima di tutto. Poi magari nelle altre squadre ci sarà chi mi prende per il culo, ma è la vita e ci sta. Continuo ad andare avanti”.

Da quando ha iniziato il vlog ha notato dei cambiamenti tra le persone che la seguono? Oltre ai tifosi si è avvicinato qualcun altro magari fuori dal basket?

“Non te la so quantificare questa cosa. Ti dico innanzitutto che il pubblico di YouTube è un pubblico diverso da Instagram e da Facebook che secondo me è la feccia e che io apro veramente poco perchè secondo me è un contenitore di vomito per persone avvelenate con la vita, la maggior parte. È un pubblico diverso ti dicevo, io ho ricevuto tanti riscontri positivi sia su YouTube sia su Instagram in privato e addirittura la gente mi scrive che è in astinenza, chiede quando escono i nuovi episodi. Come dicevo prima, molto spesso tendiamo a dare troppa importanza a un commento negativo, magari delle volte io non ho tempo di rispondere ai commenti però rispondo a un commento di un profilo fake che mi insulta. Perchè fondamentalmente sbaglio, perchè diamo, quasi tutti, troppa importanza ai commenti negativi e tendiamo a sminuire quelli positivi; invece non è così. Chi ti fa un complimento e chi ti fa una critica costruttiva o ti ringrazia per quello che fai, e non è costretto a farlo, vale tanto. Io sono uno che lo fa, ad esempio: se c’è un creator che mi piace su Instagram magari gli scrivo, gli mando una mail, gli faccio i complimenti per quello che fa, ad esempio dei video e magari lo invito a prendere un caffè se passa dalla città dove mi trovo”.

Come da lei denunciato, di ritorno da Forlì dopo la sconfitta in campionato del 20 dicembre è stato bombardato da insulti sui social che collegavano la sua presenza sui social con le presunte scarse prestazioni in campo (prima sconfitta della stagione dopo aver vinto la Supercoppa, proprio contro Forlì e le sette vittorie nelle prime sette giornate di campionato, fino a quel giorno 12 vittorie su 12 incontri ufficiali). Le chiedo se in Italia siamo pronti ad accettare questo tipo di prodotti o siamo ancora troppo legati al tifo e al risultato?

“Non voglio fare l’italiano medio, ma non siamo pronti e ti spiego perchè. Io sono Tommaso Marino ovvero il più grosso signor nessuno della storia dello sport italiano, sono un giocatore normale di A2 di basket e mi attiro tanta simpatia con questo vlog, ma anche qualche rottura di…balle. Tu immagina, negli Stati Uniti lo hanno fatto JaVale McGee e Matisse Thybulle che in Italia sono paragonabili, invento ora per il risalto mediatico che hanno, a Insigne e Marchisio. Magari Marchisio no, perchè ha smesso di giocare, ma ecco io mi immagino Chiellini che domani decide di fare un vlog e diventa un massacro: andresti a leggere i commenti e ci trovi “devi morire”, “ti deve morire la famiglia”, “devi fare un incidente in macchina” e poi magari i tifosi della Juventus che scrivono “sei un grande” diventerebbe quasi una guerra. Al primo liscio in difesa diventerebbe “sei un coglione che fai il vlog, pensa a giocare, sfigato” e io sono convinto di questa cosa. Quindi secondo me non siamo del tutto pronti, per superare la cosa e per andare avanti non resta che sbattersene i coglioni. Per me è più facile, perchè sono un signor nessuno, se fossi Callejon farei più fatica, perchè poi il risalto mediatico è grosso”.

Non pensa che magari sia una mancanza di coraggio fare una cosa del genere nelle serie superiori, in altri sport?

“Non lo so, però di certo in Italia non siamo così avanti, anche a livello web. Te lo dimostra il fatto che l’ho fatto io, nel mio piccolo, e ha fatto abbastanza rumore: ho letto due-tre articoli di persone che hanno citato il mio vlog che io non conosco, ad esempio. Siamo indietro sicuramente, può darsi che manchi la voglia di epsorsi, manca un po’ la capacità, un po’ manca la creatività. Io non sono un impiegato della NASA che manda lo shuttle nello spazio, però ho dovuto imparare a usare i programmi di editing video, ho dovuto imparare a girare, c’ho perso del tempo, anche perchè fare le cose tanto per farle e farle male mi rompe le scatole. Ho dovuto imparare nuove cose, come avevo già fatto per la fotografia, anche per il video editing, ho fatto un piccolo corso, sono stato su YouTube ad imparare e certo, sì, ci vuole un attimino di tempo. Anche per farlo, ci vuole tempo, devi girarlo e poi montarlo. È un tempo che a me piace, perchè la mattina libera o la sera nel letto mi piazzo e monto il video e quasi mi rilasso, però magari, non tutti si rilassano a montare video, c’è chi fa più fatica. Io penso che Thybulle e McGee avevano qualcuno che li aiutava con l’editing, che gli faceva la sigla, che gli trovava gli sponsor, non è esattamente facile, però si, qualcuno potrebbe farlo, sarebbe figo e io lo guarderei. Mi interessano le storie, sono uno che non guarda la tv, guardo solo YouTube, pochino Sky e Netflix, sono quasi “malato” di storie. A me piacerebbe tanto, per esempio, che un americano viene in A2 e dal viaggio in cui parte in casa sua racconta tutta la stagione dal suo punto di vista, mi piacerebbe tanto ma continuo a ripetere, serve voglia, capacità e anche “le palle” di schiacciare play e partire”.

A quasi 34 anni ha vinto il primo trofeo della sua carriera (la Supercoppa di A2). Ci dica qualcosa, cosa si prova e cosa significa?

“Sicuramente è molto bello arrivare primo e vincere qualcosa. La prima cosa che ho pensato, dopo aver vinto, mentre eravamo lì in campo, è stata “cazzo, se ci fosse stato il pubblico”. La prima cosa è stata quella, perchè mi immaginavo, che so, trecento persone o di più, non lo so quanti ne sarebbero venuti da Scafati a vederci, avrammo fatto casino, saremmo andati fuori, magari a cena. Avremmo fatto quello che si fa quando si vince, credo, da quello che mi hanno detto, chi ha vinto. Ho pensato subito a quello, la festa è stata, purtroppo, a metà. Ad esempio siamo andati a cena in hotel, avrò bevuto dieci birre tra hotel e pullman e poi è finita lì. Siamo arrivati a casa alle sei del mattino, sgangherati, siamo andati a letto e puff, è finita così, è stato un festeggiamento a metà, dovuto al Covid e non abbiamo potuto fare neanche una cena insieme o un evento con i tifosi. Ho subito pensato a questo e mi è dispiaciuto tanto, però allo stesso tempo, la gioia di arrivare primi è stata forte, è stata bella, siamo stati insieme per tre giorni a Cento. È stato importante, secondo me, per un gruppo nuovo, come il nostro per cementificare, metterci insieme, conoscerci ancora di più. Quella della Supercoppa è stata davvero una bella esperienza”.

In questi anni di carriera c’è sicuramente da ricordare il legame con Treviglio, ma anche Siena, tua città natale. Cosa hanno significato per te queste due realtà? Possono essere considerate due tappe importanti e belle della tua vita?

Sbagliatissimo. I posti dove sono stato meglio in vita mia sono stati Treviglio e Ravenna, Siena è il posto dove sono stato peggio. Siena è la mia città, sono nato e cresciuto, i miei più cari amici sono a Siena, i miei genitori sono a Siena, la mia famiglia, cui sono stralegato è a Siena, la mia sorellina è a Siena. Ho fatto tutte le giovanili a Siena, le final four di Eurolega con la Mens Sana da giovane aggregato, tutto incredibile, pazzesco, bellissimo. Dopo un mese dal mio arrivo a Siena fino a quando non me ne sono andato, è stato un incubo, perchè mi sono accorto che le cose non funzionavano, mi sono trovato male in tante situazioni, ho avuto un po’ di scazzi anche con l’allenatore. Più che scazzi non mi sentivo valorizzato, problemi economici della società, è stato un disastro, ero arrivato al punto che avevo perso peso, litigavo con tutti. Anche i rapporti personali miei non andavano bene, ero diventato una persona peggiore di quella che ero prima. Per fortuna me ne sono andato in tempo, dico solo questo. Per questo ti dico che i posti migliori, per me, sono stati Treviglio e Ravenna dove ho giocato rispettivamente sei anni e mezzo e un anno e mezzo. Quando rimani per sei stagioni e mezzo, significa che quel posto è speciale, in una carriera quel tempo lì è quasi metà della tua vita cestistica. Semplicemente stavo bene, Treviglio non sarà la società più ricca del mondo, ma io ho sempre messo davanti la qualità della vita, la qualità delle persone, la qualità magari dell’allenatore, invece che soldi in più. È per questo che Treviglio mi ha sempre convinto, mai offrendomi il doppio delle altre squadre, ma offrendomi una società sempre seria, sempre puntuale, fatta di uomini e non automi. Ho avuto un allenatore come Vertemati con cui ho sempre avuto un rapporto speciale; Lele Rossi è stato un compagno speciale che ho avuto per cinque anni. È evidente che è stato un posto importante per me. Mentre a Ravenna ci sono arrivato subito dopo Siena, avevo bisogno di essere coccolato ad essere onesto. A Siena mi ero quasi sentito estraneo a casa mia, una sensazione molto brutta; invece a Ravenna mi hanno preso, apprezzato, la società è molto familiare ma perfettamente organizzata. Il pubblico è molto simile a quello di Treviglio fatto di tante famiglie, molto sano e pulito; ho apprezzato moltissimo tutta la situazione e credo anche che le persone mi abbiano potuto apprezzare per la mia genuinità e per essere come mi si vede, senza filtri o maschere. Sono stato veramente bene e in più mettici che l’anno scorso è stato un anno trionfale, in cui il palazzetto era sempre pieno, si vinceva sempre, è stato bellissimo. Una somma di cose che hanno fatto si che, per me, Ravenna per me rappresenta un posto super dove vorrei sempre tornare.

Progetti futuri sul suo brand abbigliamento o su Slums Dunk?

“Ovviamente Slums Dunk, anche se non abbiamo viaggiato lo scorso anno, è sempre al centro dei miei pensieri e progetti. Poi c’è il mio brand che sta crescendo piano piano a cui dedico del tempo ogni giorno, come è giusto che sia, perchè se vuoi far crescere qualcosa devi lavorare altrimenti non va da solo il progetto. Sono sempre lì, progetto, creo, decido, faccio i conti con il mio socio. Poi ho tante idee, sul mondo web per esempio. Quando smetterò di giocare c’è una telefonata che aspetto, sogno che arrivi ma non dirò mai da chi, non è un sogno irrealizzabile, so che può arrivare, spero che arrivi, il mio numero ce l’hanno. Io ho quest’idea: ho trentacinque anni, se domani smetto di giocare? Quanti me ne rimangono anni di vita in cui ho forza e sono carico? Dieci o forse dodici prima che l’età ti porti a stancarti. Io in quei dodici anni voglio spaccare, fare tutto quello che mi passa per la testa: che sia dormire in un villaggio in Kenya per terra una settimana o un coast to coast in bicicletta, per dirti. Che sia farmi una famiglia, prendere mio figlio e portarlo un mese in Indonesia, non lo so. Se faccio il conto degli anni di forza che mi rimangono voglio spingere. Poi, ripeto, io ho sempre fatto basket nella mia vita, io devo ancora scoprire chi sono”.

E quindi, una volta appese le scarpe cosa farà Tommaso Marino da grande? Basket o…?

“La risposta certa è che non rimarrò nel mondo del basket, cioè non voglio più fare questa vita, non che sia brutta, ma la vita fatta di: telefonata, contratto, fare i bagagli, partire, giocare, lasciare, disfare, non la voglio più fare. La voglio fare finchè gioco ma non voglio fare l’allenatore, non voglio fare il dirigente, non voglio fare questa vita qua, l’essere stipendiato dal basket. Però vorrò fare basket, non so come dirlo. Ho un progetto in ballo, che parla anche di basket, ho l’idea di fare basket a livello di comunicazione e c’è di mezzo quella telefonata. Il basket c’è ovviamente, è stato sempre la mia vita, è il mondo che conosco meglio, ma non sotto forma di “prendi le tue cose, parti e vai a fare basket”. Quello no, basta. Non mi allenerò neanche un giorno in vita mia”.

Si ringrazia Tommaso Marino per la gentilezza e la disponibilità e Antonio Pollioso (Ufficio Stampa Givova Scafati)

Giovanni Agricola