Magic Johnson, leggenda NBA, è stato ospitato al programma di RAI 3 “Che Tempo che fa” di Fabio Fazio. L’ex giocatore ha ripercorso la sua carriera, raccontando del suo amore per l’Italia e parlato anche della sua battaglia contro l’HIV (che lui stesso annunciò di avere 31 anni fa). Queste le sue dichiarazioni:

Sul suo amore per l’Italia: “Sono 31 anni che vengo in Italia ogni anno. Amo l’Italia, amo il cibo, siete calorosi e siete gente meravigliosa, io e la mia famiglia siamo innamorati di Portofino, Porto Cervo, Forte dei Marmi”

Sulla sua carriera NBA: “È stata una grande gioia quando mi hanno chiamato così per la prima volta, ma poi ho dovuto essere all’altezza di quel soprannome principalmente sul campo. Dovevo vincere per dimostrare che quel nome era degno per un campione. Mi alzavo alle 5 e alle 6 e cominciavo a palleggiare, i miei vicini uscivano pazzi perché stavano dormendo o avevano poche ore prima di andare a lavorare. Il campo di pallacanestro era a un paio di isolati di distanza, non avevo un canestro a casa ma adoravo il gioco. Ho potuto giocare perché mio padre ha sacrificato tanto per me. Avevo sei sorelle e tre fratelli, perciò mio padre ha dovuto lasciare il basket per andare a lavorare e badare a noi. Una volta arrivato in NBA è toccato a me ripagarlo degli sforzi fatti, permettendogli di smettere di lavorare per godersi la vita e anche la mia carriera, comprandogli una casa nuova. Ora ha 88 anni e lo ringrazio ogni giorno. È probabilmente il mio migliore amico”.

Sull’incontro con Kaarem-Abdul Jabbar: “Eravamo completamente diversi noi due. Io avevo 19 anni, amavo la musica ad alto volume, mentre lui era molto silenzioso e tranquillo. Amava il jazz, voleva le cose a basso volume, io invece giravo con lo stereo sulla spalla. Lui continuava a dirmi di abbassare la musica, usciva pazzo. L’inizio è stato burrascoso, ma siamo diventati grandi amici e compagni di squadra. Lui era il giocatore più dominante della NBA, io ero più leader: per quello è andata così bene fin dall’inizio”.

Sulla rivalità con Larry Bird: “Ho cominciato ad a nel 1979 già a livello universitario, poi nella NBA insieme abbiamo cambiato il gioco. Con noi è diventato più popolare, ci sono state grandi sfide: Larry Bird è stato un mio idolo, ho avuto grande rispetto per lui, ma quando ci siamo scontrati non mi piaceva così tanto e nemmeno i suoi tifosi. Era una rivalità accesa tra le due squadre. Quando abbiamo girato uno spot a casa sua a French Lick, in Indiana, a pranzo sua madre mi ha detto che ero il suo giocatore preferito. Ed è stato un momento bellissimo sapere che lei adorava il mio modo di giocare a basket. Non credo che a Larry piacesse altrettanto”.

Sulla lotta all’HIV:  “Sono passati 31 anni da quel momento in cui ho annunciato di avere l’HIV. Al tempo era tutto diverso: le cure non erano adeguate, la discriminazione era enorme, ma noi siamo riusciti a cambiare molto nella lotta contro l’HIV. Abbiamo fornito alloggi a persone affette dalla malattia, abbiamo messo fine alla discriminazione e al razzismo, non solo negli Stati Uniti d’America ma ovunque nel mondo. Credo che oggi le cose vadano molto meglio. Dopo essermi ritirato il nostro commissioner David Stern mi ha permesso di giocare quell’All-Star Game. È stata una grande soddisfazione perché ho dimostrato che si poteva vivere una vita produttiva anche con l’HIV e che nella vita non bisognava mollare mai. Ha significato molto per me e per tante persone nel mondo intero”.

Sul Dream Team: “Ho convinto io Larry Bird e Michael Jordan a giocarci. Era sulla mia lista delle cose da fare giocare con loro due, e ci sono riuscito. Il Dream Team ha reso possibile che tutto il mondo vedesse la NBA e oggi ci sono più di cento giocatori internazionali in NBA. È cominciato tutto lì”.