Los Angeles e Miami. Nè Orlando, nè Phoenix, Boston o Cleveland. Quando si pensa a Shaquille O’Neal, The Diesel, il gigante buono, la mente torna alle canotte giallo viola e bianco rossa con il numero 34 ed il 32. Ritirate come riconoscimento a chi ha dato davvero tutto per la causa. Agli anni d’oro in compagnia della compagnia dell’anello, con Kobe Bryant e Derek Fisher ad Ovest e Dwayne Wade e Zo Mourning a Est. Shaquille O’Neal è il signore degli anelli.

L’arrivo a Los Angeles. «Showtime is back, Dr Buss». Il 17 Luglio del 1996, O’Neal si procura il numero di telefono di casa Buss e lascia un messaggio chiaro, inequivocabile, nella segreteria telefonica del chief del Lakers. Lo fa dopo aver firmato il più ricco contratto nella storia della NBA: 120 milioni di dollari per sette anni. Le prime dichiarazioni da nuovo giocatore dei Lakers sono al miele: «Fin da bambino i Lakers di Magic, Kareem e del loro fantastico showtime sono stati la mia squadra preferita». Il Big puppy dog – enorme cucciolone – come lo definisce Jerry West, si trova perfettamente a Los Angeles. Manhattan Beach e Beverly Hills sono come casa sua.

Alti e bassi. Se fuori le cose vanno a meraviglia, sul parquet si vive di alti e bassi. L’inizio sfavillante, grazie anche alle giocate di Nick Van Exel, Elden Campbell ed Eddie Jones, che liberano spazio vitale per le possenti schiacciate di Shaq, viene spazzato via da una grigia serie di playoff contro gli Utah Jazz del tandem d’oro Stockton-Malone. Anche la seconda stagione – la 1997/98 – viene ricordata come una delle ultime, belle, ma anche malinconiche, giocate al Great Western Forum. Quella dei «vorrei ma non posso» e dei rimpianti immensi. Nonostante i problemi di spogliatoio – celebri le sfuriate di Nick The Quick Van Exel contro coach Del Harris – i Lakers partono con i favori del pronostico. I giallo viola riescono a portare sei uomini in doppia cifra: dopo O’Neal, tocca a Van Exel, Eddie Jones, Elden Campbell, Rick Fox e al giovanissimo Kobe Bryant.

Repetita non iuvant. La squadra corre, è veloce, gioca alla grande in transizione e in difesa. Lo champagne inebria ed illude e così tutti pensano che tra l’anello e i Lakers ci siano solo i Bulls. L’errore è imperdonabile e dopo aver spazzato via Portland e Seattle, i giallo viola sbattono ancora una volta contro le montagne dello Utah. I Jazz si dimostrano più squadra rispetto ad un complesso di talenti individualisti. Il 4-0 decreta la fine di un’epoca ma anche la rinascita della Fenice che, per tornare a brillare, ha bisogno della linfa vitale di uno Zen. 

Il Triangolo si. Phil Jackson è l’uomo giusto al posto giusto. Giunto al momento giusto per condurre i Lakers ad un titolo lontano anni luce. Coach Zen raccoglie i cocci dello 0-4 rimediato contro San Antonio e comincia a lavorare per raffinare e rifinire l’innumerevole talento della squadra. Jackson riesce dove i suoi predecessori avevano fallito: convince O’Neal che segnare è secondario rispetto a quanto lo sia andare davvero a rimbalzo, difendere e rientrare in difesa. Con Phil Jackson arrivano tre anelli meravigliosi conquistati contro Indiana Pacers, Philadelphia e New Jersey Nets. Un Three-Peat che non attenua il perenne dualismo con Kobe Bryant e che conduce i Lakers a perdere un altro anello nonostante un All Star Team con in roster gente del calibro di Gary Payton e Karl Malone.

Miami Win. I motivi della disfatta sono riportati in un libro straordinario – L’ultima stagione – scritto da Phil Jackson. Coach Zen saluta così come Malone e Payton. Anche Shaq decide di trasferirsi a Miami e lascia i Lakers a Kobe Bryant. Con Pat Riley si comprendono al volo. Forse per via dei trascorsi a Los Angeles o perché gli occhi dei vincenti parlano la stessa lingua. Dopo una prima stagione vissuta a plasmare la squadra ed una finale di Conference persa contro i campioni in carica di Detroit, gli Heat tornano più agguerriti che mai. Spazzano via Wallace e compagni e si prendono l’anello al termine di una serie finale al cardiopalma contro Dallas. La coppia Wade-O’Neal sembra meno esplosiva ma più affiatata di quella che aveva fatto godere Los Angeles. Due città – Los Angeles e Miami – che hanno rappresentato due punti di partenza, ma anche di arrivo, per un campione come Shaquille O’Neal.

Un cuore grande. Un gigante buono che si è scontrato contro tutti ma che, allo stesso tempo, ha difeso tutti come solo un fratello maggiore riesce a fare. Le sue schiacciate a canestro così come il gavettone con tanto di fucile ad acqua durante il saluto ai fans dei Miami Heat hanno sempre racchiuso qualcosa di unico e speciale. Shaquille O’Neal è il signore degli anelli. Non solo perché ne ha vinti quattro, ma per come lo ha fatto. Con impareggiabile altruismo al servizio delle squadre con cui ha trionfato.

 

In foto Shaquille O’Neal (Facebook)

Raffaele Garinella