di Maurizio Roveri
Zero spazio alle discussioni, stavolta. Zero spazio ai veleni. La sesta sfida delle LBA Finals è stata a senso unico. Milano ha comandato. Milano ha dominato. Milano ha sovrastato una Virtus Segafredo totalmente senza intensità. Le ultime buone energie il gruppo della V nera le aveva lasciate sull’ultimo grande sforzo, quello compiuto giovedì sui legni della Segafredo Arena per riuscire a vincere gara5 e rimanere in vita. Portandosi sul 2-3. Forse sognando di poter effettuare un clamoroso aggancio.
In realtà, il tempo per illudersi non c’è stato neppure. Fin dai primi minuti del sesto match in dodici giorni la Virtus macchinosa, impacciata, prevedibile nelle manovre, ha mostrato pensieri e riflessi troppo lenti per le mani rapide della ringhiosa Armani Exchange.
Il fuoco negli occhi del team milanese di coach Ettore Messina produceva un contrasto fortissimo al confronto di quella Virtus dalla faccia piena di sofferenza, di fatica e poi di frustrazione. Una Virtus che non era la vera Virtus. Così improponibile da non poter neppure minimamente pensare di espugnare l’inespugnabile fortezza del Forum milanese (rimasto imbattuto per tutto il campionato).
Toko Shengelia, il commovente guerriero georgiano, ha voluto esserci anche in gara6. Ha chiesto di combattere ancora una volta. Poiché i campioni veri non si8 tirano indietro mai. Tuttavia… balzava chiaramente agli occhi di tutti la sua sofferenza. Stava male. Ancor di più di due giorni prima. L’influenza intestinale non se ne va da un momento all’altro. Debilitato fisicamente, costretto anche dover saltare allenamenti, Shengelia è stato complessivamente in campo venti minuti. Lottando. Otto punti e quattro rimbalzi sono l’immagine del suo ammirevole impegno, però la lucidità non poteva esserci né la forza per affrontare in maniera consistente un grande giocatore italiano come Nicolò Melli, il più forte, il più concreto della Nazionale italiana. Il duello che ha messo di fronte Nik e Toko, nelle precedenti partite, va considerato fra gli aspetti più appassionanti, vibranti e spettacolari di questa serie-scudetto fra Bologna e Milano. Ieri sera sul parquet del Mediolanum Forum c’era un Toko Shengelia neanche a metà servizio. Forse al 30 per cento del suo potenziale. A fotografarne la sofferenza quelle 6 palle perse, fra le 18 della Virtus.
Bè, una squadra con 18 palle perse (e soltanto 5 recuperate) è chiaro che non può in alcun modo contrastare una Olimpia Armani motivatissima. Sorretta da una forza mentale spaventosa. Milano era lì, ad un passo dallo scudetto, e davanti al suo popolo. E allora doveva andarlo a catturare quel titolo! E lo ha fatto. Nella maniera più imperiosa, vincendo con un divario di 25 punti (ed erano 14 già dopo sette minuti, con quell’impatto diabolico sulla partita).
Era stanca, la Virtus. Con il suo totem Shengelia in cattivo stato, dunque non in grado di trasmettere la solita energia. E con altri suoi grandi guerrieri (Teodosic, Weems, Belinelli, anche Hackett, tutti “eroi” del trionfo in Eurocup) arrivati in affanno a questa sesta battaglia delle finali-scudetto.
Ma credete che non fosse stanca anche l’Olimpia Milano? Mi pare che quella di ieri sera sia stata l’ottantesima partita stagionale per il gruppo di coach Ettore Messina. Un gruppo abituato a combattere duro fino in fondo e ad essere competitivo sempre. Ha vinto la Coppa Italia e lo scudetto. Finalista in Supercoppa, manifestazione vinta dalla Virtus. Soprattutto, la A/X Armani Exchange è stata anche quest’anno una ammirata e orgogliosa interprete sulla scena dell’Eurolega. Ha sfiorato l’ingresso nella Final Four, trovando sulla sua strada i campioni in carica dell’Efes (che poi sono arrivarti a riconfermarsi sul tetto d’Europa) in una serie terribile che Milano ha combattuto perdendo Melli durante la serie (out per tre delle quattro gare) e Delaney (che ne ha saltate due). Non ha avuto buona sorte, l’Olimpia in quel frangente. Fra l’altro, già priva di un giocatore importante come Mitoglou (ala-pivot di 2,10) sospeso dopo essere stato trovato positivo ad un controllo antidoping il 4 marzo.
L’Eurolega è una competizione esaltante e al tempo stesso massacrante. Anche crudele. Ti porta via un oceano di energie. Settimana dopo settimana.
Eppure l’Olimpia, uscita di scena nelle battaglie dei quarti di finale, con la sensazione amara di non aver potuto combattere ad armi pari contro lo squadrone di Larkin e Micic, ha avuto la solidità mentale per “resettare” in fretta e preparare con orgoglio, con rabbia, con pensieri positivi i playoff del campionato. Recuperando condizione fisica, certezze e fortissime motivazioni. Questa è la mentalità di un grande Club di Eurolega. Carattere, costanza, etica del lavoro. E un orgoglio difensivo straordinario, apprezzatissimo e invidiato marchio di fabbrica dell’Olimpia di coach Ettore Messina.
Milano ha ritrovato Nik Melli dopo il serio infortunio. E lo ha avuto al top della condizione fisica e mentale nella serie contro la Virtus Segafredo. Dove la sua intensa e spigolosa difesa, e la concretezza in attacco, hanno fatto la differenza.
L’Olimpia di Ettore Messina è l’immagine della solidità, della pazienza, della costanza, della fatica, del sacrificio. La squadra della stagione scorsa aveva più talento, ma era anche più umorale. Questa della stagione 2021-22 è più versatile, più equiibrata, più disponibile al lavoro duro, al sacrificio, alla battaglia. Dove i giocatori sanno aiutarsi, accettando quei principi di convivenza tecnica, tattica e sociale che appartiene rigorosamente al “credo” di coach Messina.
Non c’è dubbio: l’Olimpia Armani del 2021-22 si è rivelata una squadra più “adatta” ai princìpi, ai concetti, alle esigenze, agli ordini di un allenatore come Messina. Che nella preparazione e organizzazione è da sempre un tecnico meticolosissimo, Anzi maniacale.
Una grande difesa è la base di tutto. Il coach (che ha conquistato ieri sera il trentaduesimo titolo in carriera, lavorando in Italia e in Russia) con questo scudetto ha vinto il titolo italiano in tre diverse città (Virtus Bologna, Benetton Treviso e ora Olimpia Milano) come prima di lui avevano fatto soltanto Valerio Bianchini e Charlie Recalcati.
Nessun’altra squadra in Europa possiede l’organizzazione, la solidità, la durezza mentale e il sistema difensivo dell’Armani Exchange. Questa è una certezza. Una difesa intensa, aspra, spigolosa. Attentissima. Cha sa “leggere” le situazioni, e capisce come si muovono le squadre avversarie, individuandone le vulnerabilità nel loro sistema offensivo. La difesa reattiva di Milano afferra l’iniziativa. Ti mette pressione, ti raddoppia, ti fa sentire sulla pelle il peso dei suoi chili e dei suoi centimetri. Ti chiude gli spazi, ti soffoca. Così è stato ieri sera, in una gara6 dove l’orgoglio difensivo di Milano ha sfruttato abilmente, cinicamente, inesorabilmente tutte le incertezze e le palle perse (ben 18) di una pallida, pallidissima Virtus Bologna. Una gara nella quale Kyle Hines (giocatore di intelligenza straordinaria) e Nik Melli hanno alzato una barriera davanti agli occhi dei virtussini. Ed è stata la grande notte di Gigi Datome. Lo immaginavo così carico, me lo sentivo che avrebbe confezionato un partitone. Al punto di guadagnarsi la nomina a MVP di “gara6” (23 punti, 20 di valutazione, tanta “presenza” mentale).
L’Olimpia ne aveva di più. In questa serie di finale.
Più adrenalina, più regolare nel rendimento, più abile e opportunista nel punire (in particolare, ovviamente, nelle quattro patite vinte) certi vuoti mentali in attacco e le disattenzioni difensive della squadra di Sergio Scariolo.
Aveva più fame, più rabbia. Anche. E dunque, l’Olimpia Armani ha vinto con merito questo scudetto. Il ventinovesimo di Milano.
Già dall’impatto, la sera dell’8 giugno, arrivando con faccia cattiva alla Segafredo Arena a “fare la guerra” e sorprendendo una Virtus che nel corso dell’incontro seppe poi in qualche modo adattarsi, l’Olimpia dimostrò che voleva immediatamente imporre la propria personalità. La V nera perse in casa di quattro punti. E quella è stata la partita-chiave.
Una curiosità. Un dato che è molto significativo dell’equilibrio, dell’intensità e del miglior gioco di squadra dell’Armani: Milano ha confezionato più assist di Bologna! Differenza minima (99 contro 98) ma… comunque sorprendente. La V nera bolognese era sempre stata la regina degli assist. Stavolta no. Stavolta c’è chi ha fatto meglio.