Cenerentola non abita più qui. Per carità, qualcuna ci ha pure provato: Colorado State contro Memphis, Drake contro Missouri o McNeese contro Clemson. Tentativi velleitari, che non hanno scalfito lo status quo.

La NCAA fino a qualche anno fa era ancora, se possibile, l’ultimo baluardo contro quella logica da Ubi maior, minor cessat ormai divenuta unica forza regolatrice del professionismo sportivo di alto livello. Ma anche il basket collegiale, alla fine, è caduto.

A far crollare i bastioni sono state due modifiche epocali. La prima si estrinseca nella possibilità, per i giocatori (pardon, studenti-atleti, come direbbero negli USA in maniera molto puritana) di cambiare ateneo senza dover saltare una stagione agonistica, mentre la seconda è stata l’introduzione della possibilità di sovvenzionare i protagonisti attraverso sponsorizzazioni e diritti d’immagine.

Va da sé che queste scelte, eminentemente politiche, hanno in sostanza creato una sorta di mercato anche per i giocatori collegiali. Con i risultati sotto gli occhi di tutti.

A chi è più attento non sarà infatti sfuggito l’anomalia che caratterizzerà le Final Four in scena all’Alamodome dal 5 al 7 aprile. E cioè che quattro partecipanti su quattro erano detentrici di un seed numero 1 nei rispettivi Divisional: può sembrare un’eccezione, ma verosimilmente da qui in avanti diventerà una regola.

Benvenuti dunque, cari appassionati di pallacanestro, nella NCAA del futuro. Forse più vendibile, ma certamente meno fascinosa della versione precedente.

 

 

Florida Gators-Auburn

 

Quella dei Gators 2024/2025 non è la storia di una potenza egemonica che aveva nel biglietto per il Gran Ballo l’obiettivo minimo. Anzi, se uno scorre le graduatorie di inizio stagione scopre, con sorpresa, che Florida era data attorno alla ventesima posizione.

La squadra di Todd Golden, tuttavia, ci ha messo pochissimo per risalire le posizioni dei ranking. Merito sicuramente di una partenza lanciata, con quattordici vittorie consecutive, e la prima sconfitta arrivata solo con il nuovo anno, per mano della sempre pericolosa Kentucky.

I Gators hanno portato a casa, nel loro percorso, scalpi importanti come quello di North Carolina, Auburn, Alabama (due volte), Tennessee e Oklahoma. Quattro sole le sconfitte in stagione, al pari di Houston e St John’s, seconda nello stesso divisional di Florida ma sbattuta fuori da Arkansas al secondo turno.

Ovvero lo stesso barrage che ha definitivamente attirato l’attenzione sui blu-arancio, quando questi hanno soverchiato i bicampioni in carica di Connecticut. Protagonista della serata è stato Walter Clyaton Jr., play/guardia fisicamente compatto con molti punti nelle mani e, soprattutto, killer instinct nei momenti caldi.

È lui il leader della squadra, però ben supportato da Alijah Martin, guardia dalle ampie falcate ed affidabile scorer da fuori. Oltre a loro, si segnalano anche l’atletica guardia/ala Will Richard e l’ambidestro lungo Alex Condon, che alle lunge leve abbina una rispettabile visione di gioco e un tiro inaspettatamente fluido.

Se poi dalla panchina si alza un Thomas Haugh in grado di segnare anche 20 punti, come successo con Texas Tech alle Elite Eight, ecco che i Gators possono rivelarsi non più solo una piacevole sorpresa, ma una seria candidata al titolo. Dal “Dome” di Atlanta, sede dell’ultima vittoria nel 2007, a quello di San Antonio del 2025 potrebbe esserci qualcosa in più della semplice coincidenza di nomi.

Sulla strada degli alligatori verso la vittoria si è posto tuttavia un branco di fameliche tigri. Non quelle di Mompracem, ma dell’Alabama, precisamente Auburn, che come detto Florida in stagione ha già affrontato e battuto.

Conosciuta in passato unicamente per essere l’alma mater di come Charles Barkley, la compagine blu-arancio negli ultimi anni ha messo su un programma cestistico di tutto rispetto. Un ennesimo guanto di sfida lanciato alla popolarità del football, come d’altronde accaduto anche in quel della stessa Alabama.

Con l’eccezione del 2021, dal 2018 in poi i Tigers si sono infatti qualificati ad ogni fase finale del torneo. Le prime Final Four sono giunte nel 2019, per la precisione quelle di Minneapolis vinte da Virginia.

Un lavoro di continuità costruito sulla credibilità di una guida sicura come quella di coach Bruce Pearl. Giunto ad Auburn nel 2011 dopo tre anni di squalifica seguiti all’investigazione per il tentativo di reclutamento di Aaron Craft (visto poi a Trento) Pearl era stato ingaggiato per ricostruire il deludente programma di pallacanestro dell’ateneo.

I risultati gli hanno dato ragione, ed ora si presenta a San Antonio con legittime ambizioni. Le ha lui come le ha Johni Broome, imponente lungo in grado di mettere palla per terra, oltre che di farsi rispettare nel pitturato.

Senior come quest’ultimo è Chad Baker-Mazara, elettrica guardia/ala con punti nelle mani, capace di giocare per sé così come per i compagni. A completare la front line è Denver Jones, atleta dalla grande verticalità ed abile nello sgusciare in mezzo alle difese avversarie.

Se aggiungiamo poi due tiratori morbidi e mortiferi come Miles Kelly in quintetto e Tahaad Pettiford dalla panchina, ecco che appare realizzabile ogni sogno. Persino quello di tornare a casa con un titolo che ai cugini del football sfugge invece dal 2010. Imponendo, forse, una nuova gerarchia ad Auburn.

 

Duke-Houston

 

Non puoi dire Duke senza pensare alla Tobacco Road, al Cameron Indoor, agli scatenati tifosi con le facce dipinte di blu, a coach Kryzewski. Ma soprattutto, non puoi dire Duke senza pensare ad una squadra da considerare contender sempre e comunque.

Lo impone la tradizione recente, iniziata nel 1991 ed interrotta giusto dieci anni fa, nella Final Four di Indianapolis che vide i Blue Devils superare Wisconsin per 68-63. In campo c’erano Tyus Jones, oggi a Phoenix, e Jahlil Okafor, che non ha mantenuto le promesse di quando era al college ed ora langue sulla panchina dei Pacers.

Alla prima stagione completa come assistente di coach K all’epoca c’era però anche, e soprattutto, quel Jon Scheyer da Northbrook, Illinois, che dopo essere stato il leader in campo di Duke nel penultimo titolo, quello del 2010, aveva provato ad intraprendere la carriera professionistica. Qualcosina raccimolato ai Rio Grande Vipers, una stagione al Maccabi Tel-Aviv, una a Gran Canaria e poi la consapevolezza che forse era meglio dedicarsi ad altro.

Ad esempio lo scranno di allenatore, che visto Scheyer, erede del trono del suo mentore nel 2022, dare vita ad una crescita progressiva di risultati. Uscito al primo turno nel suo anno da rookie coach, nel 2024 si è invece issato fino alle Elite Eight, migliorandosi ulteriormente in questa stagione con la conquista di un biglietto per l’Alamodome.

Molte delle sue fortune dipenderanno, ça va sans dire, da Cooper Flagg. Per l’ala piccola proveniente dal Maine stanno già suonando le sirene NBA, ma l’atletico e pirotecnico prospetto pare stia valutando di rimanere un altro al college.

Accanto a lui, nel caso, potrebbe ancora esserci la guardia Kon Knueppel, stilisticamente sgraziato ma terribilmente efficace quando si tratta di fare canestro. Non solo, ma anche Tyrese Proctor, che ha in repertorio un desueto repertorio di finte atte a mandare fuori giri il difensore, in quanto junior avrebbe ancora un altro anno a disposizione.

Alla pletora di potenziali giocatori con facoltà di rimanere, nel caso quest’anno dovesse rivelarsi infruttuoso, va inoltre aggiunto il centro del Sud Sudan Khaman Maluach, imponente presenza in entrambi i lati del pitturato. A Duke, però, la tradizione obbliga a pensare ad una vittoria già in questa edizione del torneo NCAA.

I Blue Devils dovranno però vedersela con i Cougars di Houston, e sarà meno agevole di quanto la tradizione possa suggerire. Anche perché sono i bianco-scarlatto a giocare in casa.

Ok, non propriamente in casa, visto che comunque San Antonio è una città interna mentre Houston guarda al Golfo del Messico. Però comunque, disputandosi le Final Four in Texas, è quantomeno logico pensare che l’esodo per sostenere i ragazzi di coach Sampson sarà significativo.

È vero, l’ultima presenza, nel 2021 ad Indianapolis ha visto i Cougars soccombere in semifinale ai cugini texani di Baylor poi vincitori. Ma forse è proprio da lì che può venire la riscossa.

Una riscossa che ha il nome di LJ Cryer, che nel 2021 giocava in quei Bears ma che, visto il limitato utilizzo, due anni più tardi ha deciso di trasferirsi a Houston. Realizzatore fluido da oltre l’arco, il nativo di New Orleans soffre tuttavia di cali di tensione, che in alcune partite lo rendono decisamente anonimo.

Per sua fortuna accanto a lui giostra un altro cecchino come Emmanuel Sharp, che piedi per terra e fuori ritmo è pericoloso tanto quanto nell’esecuzione dei giochi. Una terza punta di diamante è Milos Uzan, creatore di gioco che in campo sembra costantemente galleggiare.

A completare il quintetto ci sono, infine, il dinamismo dello specialista del pick&roll J’Wan Roberts e la ferocia nel pitturato di Joseph Tugler. Entrambi sono cresciuti in Texas, anche se il primo è originario delle Isole Vergini, e non è fantasioso pensare che a motivarli sarà anche il senso di appartenenza.

Visti tutti questi fattori, Houston sembra dunque avere davanti una ghiotta occasione per riscattare le due finali perse consecutivamente nel 1983 e nel 1984. Chissà, forse dov’è non è riuscito Hakeem Olajuwon avranno successo Cryer, Sharp e Uzan.

 

Luigi Ercolani