Andrea Capobianco, CT della nazionale femminile e per lungo tempo responsabile tecnico delle nazionali maschili giovanili, è stato ospite dell’ultima puntata di “Alley Oop”. Nel corso della trasmissione il coach ha toccato diversi temi interessanti, segue un estratto delle sue dichiarazioni.

Fino a che età i giocatori si possono considerare giovani.

“Il problema è che vediamo il giovane di oggi come il giovane di vent’anni fa quando Giuseppe Poeta, a quindici anni, con me giocava in Serie B. Diciamo che oggi è diverso, lo vediamo anche nel nuoto, prima a diciotto anni finivano di nuotare, oggi vediamo i grandi campioni che arrivano a venticinque, ventisei, ventisette anni. È cambiato un pochino tutto, perché è cambiata anche l’aspettativa di vita. Oggi il giovane è un po’ diverso dal giovane di tanti anni fa. Quindi secondo me a ventidue, ventitré anni, ventiquattro anni stiamo parlando ancora non di giovanissimi, non di ragazzi che hanno sedici anni, diciassette anni, ci mancherebbe, però stiamo parlando di un’età assolutamente accettabile per andare a fare l’esordio in Serie A”.

 

Come i giovani dovrebbero scegliere dove accasarsi.

“Se l’obiettivo è migliorarsi io devo scegliere la società, l’allenatore e tutta la struttura che mi permette di migliorarmi. La struttura può essere la Virtus Bologna con Pajola, che conosco da quando aveva quindici anni. Lo andai a vedere ad Ancona che era bambino e gli voglio un bene dell’anima. Se Pajola ha dimostrato che in Italia si può tranquillamente avere un determinato percorso formativo, altri hanno utilizzato altri percorsi formativi. Tipo Achille Polonara che è stato con me a Teramo e dopo è andato all’estero. Lui ha esordito con me a diciannove anni e giocava a ventidue di media in Serie A. Insomma il ragazzo oppure chi lo aiuta deve scegliere un posto dove c’è possibilità di un percorso formativo serio. Per percorso formativo serio non intendo gioca o non gioca, ma allenamenti, partite e tutto. Nel momento in cui io sono capace di scegliere questo, scegliere l’allenatore adatto, se mi vuole logicamente, allora Italia o estero per me è indifferente”. 

 

L’importanza della crescita dei ragazzi rispetto al risultato.

“Ci tengo molto a dire che in vita mia non ho vinto un campionato nazionale giovanile, ma penso che qualche giocatore, basta vedere il mio curriculum, che è arrivato ad altissimi livelli ci sia stato. Ma questo perchè io non ho mai messo davanti la vittoria di un campionato alla crescita di un giocatore, certo volevo creare mentalità vincenti, ma seguendo un percorso formativo. Se per me è giusto giocare uno contro uno prima dei pick and roll, e sto facendo un esempio, questo discorso l’ho portato avanti anche nelle finali dei campionati. Non è che in quella finale mi serviva il pick and roll per vincere la partita e allora lo facevo, dovevamo essere bravi a vincere la partita con l’uno contro uno. Questa non è follia, ma coerenza col progetto formativo, coerenza nel credere che la cosa più importante è l’atleta, che non è uno strumento nelle mie mani, non è l’oggetto ma è il soggetto della crescita”.

 

Lo scouting dei ragazzi più giovani.

“Una cosa che ho voluto fare appena entrato in nazionale con il supporto di Antonio Bocchino, il mio assistente, allenatore dell’Under-Sedici e di tutta la struttura di preparatore fisico, arbitri eccetera, è stato quello di girare tutte le regioni andando in tutti gli angoli d’Italia. Un esempio è Marco Spissu. Andando in Sardegna per fare le famose giornate azzurre ho visto questo ragazzino che aveva una fame, una voglia e tante capacità. Lì ho deciso di portarlo con l’under 18 in nazionale anche se in tanti non erano d’accordo. Alla fine Marco ha giocato in Italia e all’estero in squadre fortissime. Ma tutto è nato girando l’Italia, andando in tutti i posti. Adesso c’è Marco Sodini che sta continuando questo tipo di discorso girando l’Italia in lungo e largo. È l’unica modalità per prima cosa per creare entusiasmo, che è importante e, seconda cosa per vedere tutti realmente”. 

 

Il talento mentale prima che tecnico.

“Tante volte noi parliamo quando parliamo di giocatori di talento e purtroppo la moda ci dice che il talento è solo una cosa tecnica. Tralasciamo però un aspetto che secondo me è fondamentale, ovvero il talento mentale. Un esempio attuale è il tennis, Sinner è uno spettacolo di giocatore ma non solo per il gesto tecnico, ma anche per la sua forza mentale. Io sono fissato su questo, tutti sanno che io ho avuto il mio staff per dieci anni un psicologo. Purtroppo negli sport di squadra, e non parlo solo di pallacanestro, l’aspetto mentale viene dopo”.

 

Cliccando qui sotto potete vedere integralmente la puntata di Alley Oop con Andrea Capobianco.

 

In foto Andrea Capobianco (Ciamillo Castoria)