Oggi è il compleanno di Dino Meneghin che festeggia così il suo 75° compleanno, una carriera leggendaria che lo ha segnato come uno dei giocatori più forti e importanti della storia del basket italiano, intervistato dalla PreAlpina, ha parlato a cuore aperto della sua vita nella pallacanestro.
Tra i tanti momenti significativi della carriera di Meneghin e tra i molti trofei vinti ce ne sono alcuni che hanno un sapore diverso.
“Uno dei momenti più significativi della mia carriera fu la mia prima esperienza a Varese, ricordo ancora quando Nico Messina mi invitò a giocare, tornai a casa con la borsa dell’Ignis, la misi sul tavolo orgoglioso di farla vedere ai miei. Poi, la chiamata di Peterson all’Olimpia, ero sul punto di smettere, mi ha cambiato radicalmente la carriera. Infine, la proposta di Tanjevic di fare da chioccia ai giovani di Trieste, ne sono stato orgoglioso”.
“Mi sento molto legato al primo scudetto con Varese nel 1969, seguito l’anno dopo dalla Coppa Campioni. In Nazionale, ovviamente gli Europei vinti nel 1983 e l’argento alle Olimpiadi 1980 sono tra i ricordi migliori, ma anche la mia prima Olimpiade a Monaco 1972 non è stata da meno. L’ingresso nello stadio per la cerimonia di apertura, il boato del pubblico, un ricordo indimenticabile. Bellissima la vita nel villaggio, ci si mescolava con atleti di tutto il mondo, andavi a pranzo e in un tavolo da 10 eri con ragazzi di 10 paesi diversi”.
Progetti, dentro e fuori dal campo, ma anche tanti avversari da affrontare per arrivare alla vittoria.
“Fuori dal campo, uno dei progetti che mi ha dato più gioia è stato il 3 contro 3 nelle scuole medie e superiori, iniziato a fine anni ‘90 con Basket3. Partimmo con 500 studenti, l’ultimo anno ne coinvolgemmo 110.000. È stato emozionante vedere crescere il 3×3 negli anni fino a diventare disciplina olimpica”.
“Tra gli avversari, mi piaceva giocare con Cosic, Thachenko e Sabonis. Il primo fortissimo, sapeva fare tutto, fuori dal campo ho avuto la fortuna di frequentarlo ai tempi di Trieste quando spesso era ospite di Tanjevic. Thachenko enorme, 220 cm, avversario di battaglie con la Nazionale. E poi Sabonis, molto più giovane di me, ricordo la prima volta contro, aveva 18 anni, se ne parlava tanto, ma non l’avevo mai visto. Inizia la partita, ruba palla, con i suoi 220 cm vola in palleggio in contropiede a fare una schiacciata clamorosa. Ho pensato: Questo bimbo diventa forte per davvero”.
Tanti giovani si ispirano a Dino Meneghin, uno dei più grandi della nostra pallacanestro.
“Il consiglio che darei ad un giovane per diventare professionista? Seguire la passione. Se il basket è ciò che ami, devi dedicarti anima e corpo. La chiave è la mentalità, allenarsi duramente con costanza. Non basta divertirsi, bisogna fare sacrifici. Oggi, come ieri, la passione è la base. La motivazione dipende dal carattere. In gioventù, ero circondato da esperti come Flaborea, Ossola e Vittori. Non mi piaceva mai perdere, nemmeno in allenamento. La mentalità di non accontentarsi mi ha permesso di crescere. Con McAdoo, ad esempio, le sfide in allenamento erano durissime, per lui, perdere nella partitella era quasi più fastidioso che in gare ufficiali”.
“Al Dino Meneghin 13enne gli direi che ha fatto la scelta giusta iniziando a giocare a basket, ma dovrebbe cercare di allenarsi ancora di più, anche se una volta si lavorava così, non è colpa di nessuno. Se solo avessimo avuto le attrezzature moderne dei pesi forse avrei raggiunto risultati ancor maggiori, ma non mi posso lamentare”.
Un basket sicuramente diverso da quello dei suoi tempi, un’evoluzione che ha portato ad avere tante similitudini nei modi di giocare di alcuni giocatori
“Ora il gioco è più veloce e tecnico. Negli anni ‘60 più lento, oggi la velocità e la preparazione fisica sono essenziali. Il cambiamento dai 30“ ai 24“ è stato fondamentale. Se dovessi fare un paragone, direi che il basket assomiglia sempre di più all’hockey su ghiaccio, non ci si ferma mai. Evolve bene, tecnica e velocità sono aumentate, i giocatori più preparati. Non mi piace l’abuso del tiro da 3, snatura il gioco di squadra. Mi piacerebbe vedere i pivot più coinvolti in attacco: Peterson ci insegnava che un pivot motivato dà il massimo e aiuta la squadra anche in difesa. Il basket deve rimanere un divertimento, dove ognuno è fondamentale. Meno musi lunghi, più sorrisi: chi gioca a questi livelli è una persona fortunata”.
In foto Dino Meneghin, di Ciamillo Castoria