Amedeo, hai trascinato Brescia al ritorno alla vittoria sabato scorso, contro la Reyer Venezia. È stato un inizio di stagione altalenante, ma il potenziale di questa Germani sta emergendo sempre di più. Cosa vi sta mancando per arrivare a ottenere risultati con una certa continuità?
Quella contro Venezia è stata una partita fondamentale per noi, ci serviva un bel successo per rialzare il morale e la nostra posizione in classifica. Abbiamo controllato la partita sin dalle prime battute del match, poi Venezia è rientrata nell’ultimo quarto, ma siamo stati bravi a mantenere i nervi saldi e a ricostruirci poi, azione dopo azione, un solido vantaggio. È una vittoria che ci dà serenità in vista dei prossimi impegni. Non abbiamo avuto un calendario semplice nelle ultime settimane, ma questo non deve essere un alibi per giustificare la scarsa costanza di rendimento che ci ha contraddistinto nei primi mesi di stagione. Anche domenica prossima affronteremo un avversario molto forte come l’Olimpia Milano, ancora imbattuta in campionato; non sarà facile, ma daremo il meglio di noi stessi e sarà fondamentale affrontare con il coltello tra i denti anche le partite seguenti. Abbiamo fame di risultati.
Sei da anni un tiratore formidabile e un giocatore votato all’attacco, ma stai dimostrando grande applicazione anche nella metà campo difensiva. Quanto e in cosa ti consideri migliorato, in fase di non possesso?
A livello individuale sento di essere cresciuto nella comprensione del gioco, nelle letture delle diverse situazioni che possono presentarsi nel corso di una partita. L’esperienza in Eurolega all’Olimpia Milano e poi le due stagioni trascorse all’estero mi hanno aiutato a diventare un difensore migliore. Bisogna imparare a leggere il gioco non solo in attacco, ma anche quando attaccano gli altri. Credo di essere migliorato in dettagli come il posizionamento difensivo corretto da assumere, o nel capire con una frazione di secondo d’anticipo che tipo di soluzione offensiva potrà adottare la squadra avversaria… Sono piccole cose che però mi aiutano a celare quelli che sono i miei punti deboli. Con coach Magro stiamo insistendo con forza sulle letture difensive di squadra, perché di fatto si attacca e si difende in 5, insieme. Infatti, per quanto resti importante, trovo un po’ superato il paradigma di difesa 1 contro 1, dove ogni singolo deve cercare di non far segnare il proprio uomo. I duelli individuali rimangono importantissimi, ma in Serie A ci sono giocatori in grado di creare vantaggi e di battere il loro diretto avversario con più soluzioni. Per questo motivo serve lavorare necessariamente come collettivo su rotazioni, cambi difensivi tanti altri dettagli che – se messi insieme – fanno la differenza.
Naz Mitrou-Long è attualmente il quarto miglior marcatore della Serie A con 17 punti di media ad allacciata di scarpe. Tu riesci a fare ancora meglio, con 17,5 di media, secondo solo a Kyle Weems della Virtus Bologna. Insieme combinate quasi 35 punti di media a gara e, statisticamente, siete la coppia di guardie più immancabile del campionato.
Mi trovo molto bene con Naz, è un bravo ragazzo oltre ad essere un atleta di altissimo livello, cosa che sta dimostrando anche nel nostro Paese. Abbiamo frequentato – sebbene in stagioni differenti – la stessa High School, la Findlay Prep a Las Vegas, che sostanzialmente ci ha dato lo stesso imprinting di gioco. C’è grande feeling tra noi, ci troviamo spesso a gestire i possessi in attacco e a prendere decisioni palla in mano, per cui ci capita spesso e volentieri di confrontarci per trovare, giorno dopo giorno, un equilibrio offensivo sempre più funzionale alla squadra. Sia a me che a lui, poi, piace attaccare nei primi secondi dell’azione, cosa che anche il coach ci chiede di fare se si presentano le giuste condizioni per farlo.
Recentemente hai dichiarato che – col senno di poi – avresti fatto un’esperienza all’estero da professionista prima di quelle delle ultime due stagioni, a Gran Canaria e Podgorica. Quest’ultima in particolare ti ha segnato profondamente: chi e cosa hai trovato di speciale in Montenegro?
Al Buducnost di Podgorica ho avuto la fortuna di essere allenato da Dejan Milojevic. Un coach che mi ha trasmesso pochi concetti, ma con grande forza e sicurezza, al punto tale che mi sono rimasti impressi. La sua qualità migliore risiede nel riporre massima fiducia nei mezzi di ogni suo giocatore. Vi porto la mia esperienza personale: il coach mi considerava uno dei migliori tiratori che ha mai allenato nonostante – tanto per fare un nome – l’MVP in carica della NBA, Nikola Jokic, abbia detto a più riprese che Milojevic è stato l’allenatore più influente nel suo percorso di crescita giovanile, in Serbia. Da quest’anno, peraltro, Milojevic è diventato vice allenatore di Steve Kerr ai Golden State Warriors, dove gioca un tizio con il numero 30 che sa tirare discretamente diciamo (ride, ndr). Ogni partita il coach è stato in grado di trasmettermi la convinzione di essere il miglior tiratore in campo e di conseguenza, ogni qual volta si presentava la possibilità di prendere un tiro aperto, non potevo esitare o esimermi dal prenderlo. È fondamentale per un giocatore riuscire a sviluppare un mindset del genere, libero da esitazioni, perché la fiducia totale nei propri mezzi è fondamentale. E grande merito va dato agli allenatori, quando ti fanno sentire il loro incondizionato supporto. Alla fine la palla può entrare o uscire, ma è fondamentale tirare con la convinzione che si farà canestro.
Ormai una decina di anni fa, hai vissuto esperienze formative a livello internazionale tra gli USA e le giovanili della Nazionale italiana, con la quale hai vinto l’oro all’Europeo Under 20 del 2013, a Tallinn, da MVP del torneo. Cosa porti nel cuore delle tue esperienze adolescenziali?
Quegli anni in Nazionale sono stati splendidi. Eravamo proprio un bel gruppo e fa piacere pensare che tanti di quei ragazzi che vinsero la medaglia d’oro a Tallinn sono oggi protagonisti sui campi della Serie A (oltre a Della Valle: Abass, Chillo, Imbrò, Lombardi, Ruzzier, Tonut, ndr). La partita chiave di quella spedizione non fu tanto la finale contro la Lettonia, bensì il quarto di finale contro la Lituania. Eravamo spalle al muro, sotto di 4 punti a 10 secondi dalla fine. Sembrava già tutto finito, quando Abass riuscì a segnare una tripla forzatissima, con due uomini addosso, per il -1. Dopodiché, facemmo fallo per fermare il cronometro: 2/2 ai tiri liberi della Lituania, di nuovo -3 Italia. Riuscimmo a forzare i tempi supplementari – poi vinti – grazie a un mio tiro da 3 punti decisamente casuale, segnato da una decina di metri dal canestro. Oltretutto, lo schema non prevedeva fossi io il tiratore scelto, ma in qualche modo mi trovai una palla quasi persa in mano e con fortuna segnai. Fu una vittoria talmente assurda, che ci gasammo al punto tale da raggiungere il gradino più alto del podio, sebbene non fossimo la principale favorita all’Europeo. Però, come tutte le squadre di coach Pino Sacripanti – che non a caso sta facendo vedere ottime cose a Napoli – giocavamo davvero bene. Mentre per quanto riguarda i tre anni trascorsi negli USA, che furono splendidi, vi racconto un aneddoto non molto conosciuto, che va collocato proprio al tramonto della mia esperienza statunitense, nell’estate del 2014. Di lì a poco a Ohio State University, dove ho frequentato il college, sarebbe arrivato D’Angelo Russell, che l’estate seguente sarebbe poi stato selezionato dai Los Angeles Lakers al Draft NBA come seconda scelta assoluta. Parliamo quindi di un autentico crack per il College Basketball. Ad ogni modo, prima di andarmene da Ohio State University, fui designato a fare da guida allo stesso D’Angelo (oggi stella dei Minnesota Timberwolves, ndr) quando volle visitare il Campus dell’università. Si fermò per due giorni, li passammo insieme, tutto il tempo. Si divertì molto, io pure, e alla fine Russell scelse di giocare proprio per OSU; mi sento di poter dire di averllo reclutato io!
Fonte: legabasket.it