di Mario Arceri
BERLINO – Il sipario dell’Eurobasket cala dopo diciotto giorni su una Spagna in festa e una Francia imbufalita al punto di snobbare (con Gobert e Fournier che se la tolgono subito dal collo) la medaglia d’argento di vice campioni d’Europa (ricordate gli inglesi a Wembley un anno fa?). Chissà perché, visto che “les bleus” di Collet possono solo ringraziare la dea fortuna di essere arrivati fin lì da “miracolati” (cit. L’Equipe) superando le morte gore in cui li avevano precipitati sia la Turchia sia l’Italia. Certo, uscire senza danni da quelle situazioni vuol dire avere una tempra, un mestiere, un’esperienza collaudata e consolidata, ma è chiaro che la Spagna non ha rubato nulla ed ha anzi da recriminare per alcune decisioni arbitrali più che discutibili: purtroppo anche nella finale si è avuta la conferma dell’aspetto più negativo di questo Eurobasket, una classe arbitrale sempre più indietro rispetto all’evoluzione del gioco, impreparata (o modesta) sotto l’aspetto sia atletico che tecnico quando non succube psicologicamente. Dicono che gli arbitri migliori se li sia presi l’Eurolega…
Francia delusa, dunque, sconfitta al termine di un Eurobasket piuttosto anonimo se si esclude il fragoroso successo in semifinale (+41) su una Polonia appagata dall’inatteso successo sulla Slovenia. Spagna esaltante, invece, nell’edizione dei record, visto che non si ricordano sette triple (del giovane Hernangomez) in una finale, che Rudy Fernandez ha coronato la sua carriera aggiungendo un quarto titolo europeo ai due mondiali (nel 21° secolo non ci sono altri giocatori che possano vantare un simile palmares), soprattutto che Sergio Scariolo, firmando – in dieci anni complessivi di panchina iberica – la quarta vittoria in un campionato europeo, più un bronzo nel 2017, e unendola al successo nella World League del 2019 (oltre a un argento e un bronzo olimpici), è sicuramente il coach più vincente a livello di Nazionali, superato – ma erano altri tempi – solo dal colonnello Gomelski che di europei ne vinse sei alla guida dell’Unione Sovietica quando la corazzata di Mosca non conosceva rivali in Europa.
Al di là dei rilievi statistici, che comunque contano e sono importanti, quello della Spagna è il successo di un movimento e di un’organizzazione che non ha eguali in Europa e che solo la Francia – non a caso vicecampione olimpica – può in qualche modo avvicinare. La dimostrazione è venuta a Berlino dove Scariolo (atteso ora dalla Virtus Bologna e dal campionato italiano) ha portato una squadra priva di alcuni elementi importanti (Rubio, Rodriguez che ha detto basta, Llull che si è infortunato a pochi giorni dall’europeo) ma ha saputo ugualmente trarre dalle seconde linee elementi validi come il ventunenne Jaime Pradilla che non ha esitato a lanciare nel quintetto di partenza nella finale con la Francia.
I risultati della Spagna (ancora più eclatanti a livello femminile, se si pensa che lì tutto cominciò per preparare i Giochi di Barcellona, appena trent’anni fa) sono frutto di programmazione, di lavoro serio, di impegno costante sui giovani: se quest’estate nei sei europei di categoria la Spagna ha vinto tre medaglie d’oro e tre d’argento, dagli Under 16 agli Under 20, significa avere sempre un ricambio generazionale. Il segreto è semplice: farli giocare, consentirgli di maturare esperienza, trovarseli pronti quando sarà necessario. Una ricetta facile facile per chiunque volesse applicarla. Non recepita in Italia dove i Melli e i Fontecchio, Datome, Polonara, Spissu, per ricordare i nostri campioni di questo Eurobasket, ed ora Procida, per crescere ed imporsi hanno dovuto emigrare, paradigma perfetto di quello che avviene quotidianamente nel nostro Paese dal quale i migliori (ma non i politici purtroppo) per avere successo debbono lasciarselo alle spalle.
Gli Hernangomez, Rudy e Jaime Fernandez (nessuna parentela), Diaz, Lorenzo Brown discusso playmaker naturalizzato che Scariolo (con ottime ragioni visto rendimento ed epilogo) ha fermamente voluto dopo che gli sono venuti a mancare nel ruolo i veterani di maggiore affidamento, sono stati i protagonisti di questo Europeo. Non Antetokounmpo (ma è entrato a furor di popolo tra i “best five”), non Doncic, non Jokic, tutti rispediti presto a casa dopo aver deliziato con qualche numero da Nba le platee.
Premiando Spagna e Francia, e subito dopo la Germania che conquista la terza medaglia della sua storia sotto gli occhi di Dirk Nowitzki, vince il basket latino, quello più organizzato come si è detto, quello più concreto e anche quello più giocato, nel senso che è possibile vedere la mano dell’allenatore: non solo pick e roll, spinte e corse, ma pallacanestro ragionata, schemi e difese studiate su misura degli avversari. Da parte di Scariolo, soprattutto, che non a caso si è portato a casa un’altra medaglia d’oro, allenando e non solo gestendo.
Dell’Italia si è parlato fin troppo: l’ottavo posto (ma perché dietro la Finlandia che ha vinto le nostre stesso partite ed ha una differenza canestri inferiore alla nostra?) le sta stretto per quello che ha mostrato. Un Europeo esaltato dalle vittorie sulla Croazia di Bogdanovic (rivincita dopo le tante delusioni patite a causa dei croati), sulla Serbia di Jokic e Milic, dalla quasi vittoria sulla Francia. Inutile tornarci sopra, si è detto di tutto e di più, con Pozzecco e Fontecchio immeritatamente sotto tiro.
Da segnalare il passo avanti di Polonia e Finlandia, il crollo di Croazia e Lituania, la poca fortuna della Turchia, una Serbia che, argento cinque anni fa a Istanbul nell’ultimo europeo disputato, scende al nono posto: responsabilità degli azzurri che, dopo averla estromessa dai Giochi olimpici, l’ha ridimensionata anche a livello europeo. Per tutte comunque l’occasione di conferma o di rivalsa è alle porte, con le ultime due finestre di qualificazione mondiale e la World Cup del prossimo anno che spalancherà le porte dei Giochi di Parigi.