C’era due volte Belgrado, quando l’Italbasket portò a termine l’impresa al Pioniir…ricordando Verona. Se complicarsi la vita fosse una disciplina olimpica, vinceremmo l’oro in carrozza. L’Italbasket aveva il pass per gli ottavi in tasca già prima di scendere in campo, l’unica cosa da fare era evitare il quarto posto per non dover incrociare prematuramente la Serbia; risultato? Domani alle 18 giocheremo contro Jokic e compagni. E allora tocca sperare che gli dei del basket non ritengano di averci arriso già a sufficienza il 4 luglio 2021. Sembra passato un secolo, e invece sono appena 14 mesi e qualche giorno da quando un gruppo su cui nessuno, scrivente compreso, avrebbe scommesso un soldo fece gonfiare il petto ad un paese intero (anche perchè la partita era in chiaro…).
Lo scenario è Belgrado, il buon vecchio Pioniir. C’era già stata un’altra occasione simile dove una squadra italiana si giocava tutto in quell’ambiente capace di essere dimostrazione figurativa dell’aggettivo infernale. Qualcuno, in un angolo della propria mente, ci avrà pensato, magari senza l’ardire di tradurre i pensieri in parole. 14 mesi fa l’Italbasket, come spesso succede, era circondata da polemiche: Meo Sacchetti era praticamente ex CT, ormai abbandonato a sé stesso mentre il toto successore impazzava. Si parlava di un Messina ter, poi declinato dall’attuale coach dell’Olimpia, poi si era fatta l’ipotesi Djordjevic, appena uscito – da scudettato – dal rapporto con la Virtus Bologna, un remake della finale scudetto con in gioco la panchina azzurra. Meo non commenta, pensa a lavorare ed a trovare la quadra di una Nazionale che sarebbe stata priva di Belinelli e Datome. “Sacrilegium! Oh imperdonabile affronto a li azzurri color! Li campiòn non son tali! Duello urge, poscia la fellonia esser lavata con lo sangue de li commentarii delle social reti!”
Queste, anche se in linguaggio non così affine al Sommo Poeta, le parole di Petrucci nei confronti di due giocatori logorati dalla stagione sempre più intasata d’impegni e non più giovani nel pieno della propria carriera, il tutto dopo estati su estati dedicate all’azzurro e mandando un messaggio di totale sfiducia nei confronti di chi, invece, a Belgrado sarebbe sceso in campo per provare a staccare un pass per le Olimpiadi.
Insomma, uno dei tentativi di autosabotaggio più teatrali della Storia della nostra palla a spicchi. Il Senegal, inserito nel girone azzurro, non si presenta sul Danubio, quindi il passaggio del turno è cosa fatta prima ancora di scendere in campo, la sfida con la Repubblica Dominicana serve solo a sancire chi eviterà i padroni di casa in semifinale.
L’avversario non è al livello degli azzurri ed il primo posto è assicurato; contro Puerto Rico, invece, si soffre a lungo prima di venir fuori alla distanza, i commenti più in voga parlano di minimo sindacale fatto, si dice che si può anche tornare a casa senza giocare, vista la differenza di talento con la pur decimata Serbia in cui Jokic è assente perchè più interessato a stare con i suoi cavalli. A qualcun altro, ancora in silenzio, sarà tornata in mente una squadra che si era presentata su quel parquet due decadi prima dovendo recuperare 6 punti di svantaggio. In casi come questi, le reazioni possibili sono due: o si getta definitivamente la spugna, convinti del fatto che è impossibile superare l’ostacolo, o si superano i propri limiti.
Melli indica la via, suo il primo canestro della gara, mentre Mannion, Polonara e Fontecchio mettono insieme il primo allungo azzurro che vale il 16-7. Solo che Kokoshkov decide di mettere in campo l’artiglieria pesante, al secolo Micic, Teodosic e Kalinic ed il parziale serbo (8-0) mette tutto in equilibrio, all’Italia serve una reazione di talento ed orgoglio, così Nico inventa il gioco da 3 punti, poi addirittura Tessitori va ad inchiodare la schiacciata sulla testa di Nemanja Bjelica, peccato che commetta il suo terzo fallo quando il primo quarto ancora deve finire, ma la sofferenza nel pitturato era qualcosa di preventivato. I serbi, a casa loro, non mollano: Andjusic segna 11 punti in un batter d’occhio e firma il sorpasso balcanico (36-32), la maggioranza degli italiani sintonizzati comincia a recitare il de profundiis. Gli azzurri, però, sono vivi e girano nuovamente il match con Fontecchio, Mannion e Tonut sugli scudi ed un perimetro incandescente che vale addirittura il +12 all’intervallo lungo. Qualcuno, zitto zitto, un sussurro su ricordi antichi lo fa tra sé e sé. Quel sussurro prende forza di tripla in tripla, fino al +24 firmato da Pajola, Andjusic è il solo a tentare di tenere accesa una fiammella di speranza per i padroni di casa, ma l’ultima virata prima del rettilineo del traguardo vede gli azzurri a +17. Nel quarto finale i balcanici provano a rientrare più di nervi che di tecnica, troppo poco per rimontare quasi un ventello di svantaggio, specialmente se l’attacco è frenetico e poco ragionato, con Micic in serata storta e Teodosic non pervenuto. Mano mano che il tempo passa, quel qualcuno ricorda, e le immagini del passato diventano sempre più vivide ed assumono le sembianze di Mike Iuzzolino, Bullara, Dalla Vecchia, Keys o Jerichow, o ancora Andrea Mazzon, a tinte gialloblu.
E allora quel qualcuno, stavolta tutto azzurro, libera la propria gioia, unico a crederci nel raggio di km, primo a sintonizzarsi sulla gara, gli altri sarebbero arrivati dopo. Come in quel 1º Aprile di 23 anni prima, con lo stesso scetticismo di allora, l’Italia del basket vinceva in quel di Belgrado, stavolta con in palio il pass olimpico, mentre nel 1998 ci era riuscita una nostra squadra di club, con in gioco una coppa europea Lì dove nacque la leggenda della Scaligera Mash Verona, che conquistò la Coppa Korac battendo 98-97 I padroni di casa della Stella Rossa Belgrado nell’infuocato Pioniir, l’Italbasket ripeteva l’impresa, forse con ancor meno possibilità, in partenza, rispetto a chi aveva vinto prima. Domani lo scenario sarà Berlino; anche lì, in un altro sport, l’azzurro del cielo porta ricordi nel cuore. Il pronostico ci dà nettamente perdenti, ma la palla è sempre rotonda, solo chi non ci prova parte sconfitto.
Elio De Falco